Almeno 110.000 i barili di petrolio sversati negli ultimi decenni nello Stato di Bayelsa, nel Delta del Niger, da cinque delle compagnie petrolifere più potenti del mondo: Shell, ENI, Chevron, Total ed ExxonMobil. È questo rivela il rapporto “An Environmental Genocide: Counting the Human and Environmental Cost of Oil in Bayelsa, Nigeria” prodotto dalla “Oil & Environmental Commission”, una commissione indipendente di esperti istituita per la prima volta dal governo dello stato Nigeriano del Bayelsa nel 2019.
Il rapporto ha rivelato che la Nigeria avrebbe bisogno di almeno 12 miliardi di dollari per ripulire le decennali fuoriuscite di petrolio nello Stato di Bayelsa per i prossimi 12 anni, attribuendo a Shell ed ENI la responsabilità della maggior parte dei danni. Bayelsa è uno dei principali Stati produttori di petrolio del Delta del Niger, una regione ricchissima di idrocarburi, e forse per questo condannata a un saccheggio selvaggio da parte delle multinazionali del fossile di tutto il mondo. Le conseguenze ambientali sono devastanti, e mostrano terre e fiumi inquinati, estinzioni di specie di animali, danni alla salute che portano anche al decesso prematuro di 11 mila bambini all’anno, oltre che malattie gravi e infezioni.
La commissione ha collaborato con scienziati forensi e ricercatori medici per raccogliere e analizzare campioni di acqua, sedimenti, piante e animali della catena alimentare in 17 siti di Bayelsa. I ricercatori hanno scoperto che l’acqua di superficie nei siti di analisi mostrava concentrazioni di “idrocarburi petroliferi totali” – composti chimici presenti nel petrolio greggio che sono associati a rischi per la salute – che erano almeno 300 volte il valore massimo di sicurezza in ogni campione prelevato. In un sito, la concentrazione era più di 700.000 volte il limite di sicurezza.
I ricercatori hanno anche prelevato campioni di sangue e tessuti da 1.600 persone residenti in tutto lo Stato. Secondo le loro analisi, la quantità di metalli pesanti pericolosi come il piombo e il cadmio, derivanti dall’inquinamento da petrolio, era sei volte superiore a quella sicura nelle persone che vivono a Bayelsa. Entrambi i metalli sono stati associati a un maggior rischio di cancro e possono causare difetti alla nascita, danni neurologici e altri gravi rischi per la salute. Nelle testimonianze pubblicate nel rapporto, i residenti di Bayelsa hanno descritto i continui problemi di salute, i corsi d’acqua avvelenati, oltre che un sistema bizantino di requisiti legali e aziendali per la valutazione delle fuoriuscite che ha reso quasi impossibile ottenere qualsiasi risarcimento dei danni.
Una denuncia all’alta corte di Londra contro Shell era già partita, quando oltre 13.652 famiglie di alcune comunità agricole avevano denunciato i danni ambientali e l’impossibilità di vivere come facevano prima a causa dell’inquinamento delle acque e delle terre che prima coltivavano. I pesci infatti non ci sono più, gli animali scompaiono e le terre non rendono più come prima. Ai tempi, la risposta di Shell non si era fatta attendere: per la compagnia multimiliardaria, le comunità locali non hanno alcun diritto ai risarcimenti e non possono costringerla a ripulire l’area. Per Shell, gli abitanti di quella zona non possono chiedere un risarcimento per degli sversamenti avvenuti anni fa e ha puntualizzato che i responsabili delle fuoriuscite sono le bande armate locali, e non la compagnia petrolifera. Ma la Corte dell’Aja – in una sentenza del gennaio 2021 – ha smentito la multinazionale, stabilendo che la filiale nigeriana di Shell dovrà pagare un risarcimento per le fuoriuscite di petrolio nel delta del Niger e occuparsi di ripristinare l’ambiente danneggiato.
Shell cercherà di ribaltare la sentenza con i ricorsi, e al risultato guarderà con interesse l’italiana ENI, che teme di subire la stessa sorte. Anche ENI sostiene, nella propria posizione ufficiale, che le continue fuoriuscite di petrolio sono causate da sabotaggi e ladri, e non per la mancanza di manutenzione e di investimento in un sistema estrattivo meno impattante. Shell si appresta a lasciare il paese dopo oltre 80 anni di sfruttamento estrattivo. Cerca così di sottrarsi alle responsabilità della devastazione ambientale, come ha fatto Chevron in Ecuador e come molti altri esempi dell’industria del fossile, abituati a saccheggiare e poi andarsene senza nessuna riparazione, per quanto é impossibile riparare certi danni. Nel 2022, la Shell ha realizzato un profitto record di 40 miliardi di dollari e l’ENI ha registrato il suo stesso record con 14 miliardi di dollari.
Secondo i dati ufficiali del governo nigeriano citati nel rapporto, ogni anno si verificano almeno 234 fuoriuscite di petrolio nel piccolo Stato nigeriano – poco meno di uno al giorno – che si estende per soli 3.500 chilometri quadrati (1.350 miglia quadrate). Tra il 2006 e il 2020, almeno 110.000 barili di petrolio sono stati riversati nei fiumi, nelle paludi e nelle foreste, il 90% dei quali proveniva da impianti di proprietà di cinque compagnie petrolifere già nominate: Shell, ENI, Chevron, Total ed ExxonMobil.
Il rapporto giunge nel contesto di un’accelerazione della strategia di aziende come la Shell di ritirarsi dal Delta del Niger, spostando le proprie attività in pozzi d’acqua profonda al largo, nel tentativo di dire di rispettare gli impegni assunti in materia di clima e di evitare una cattiva pubblicità. La Shell sta affrontando cause legali in diversi Paesi per l’impatto delle sue operazioni in Nigeria e gli attivisti di Bayelsa dicono di temere che, insieme alle altre major petrolifere, lascerà la regione senza ripulire il disastro che si è lasciata alle spalle. L’eredità pesante lasciata dall’industria del fossile non é sicuramente riparabile. Le specie scomparse non torneranno, e l’inquinamento dei fiumi e delle terre resterà per secoli. Ma almeno questi 12 miliardi sarebbero un buon inizio per bonificare alcune aree e costruire infrastrutture sanitarie. Se la commissione riuscirà a obbligare le aziende a farseli dare.
[di Monica Cillerai]
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