In Brasile, la compagnia petrolifera Petrobras si è vista negare definitivamente l’autorizzazione a eseguire trivellazioni in un pozzo petrolifero al largo dello Stato di Amapá, nel bacino della foce del Rio delle Amazzoni. Qui, nelle acque ultraprofonde del bacino, si trova un deposito di cosiddetto pré-sal, ovvero di petrolio leggero e di altissima qualità, con un elevato valore commerciale. La decisione è stata presa dall’Ibama, l’istituto brasiliano dell’ambiente e delle risorse rinnovabili, che ha giudicato insufficienti le garanzie fornite da Petrobras riguardo la tutela dell’ambiente nella zona interessata, di estrema importanza socio-ambientale. La decisione potrebbe rappresentare una significativa svolta nelle politiche di tutela del territorio in Brasile, la cui conservazione era stata messa a dura prova durante la presidenza di Bolsonaro.
«Non c’è dubbio che a Petrobras siano state offerte tutte le opportunità per rimediare ai punti critici del suo progetto» ha spiegato Rodrigo Agostinho, presidente di Ibama, «ma esso presenta ancora incongruenze preoccupanti per un funzionamento sicuro in una nuova frontiera esplorativa ad alta vulnerabilità socio-ambientale». Il bacino della foce del Rio delle Amazzoni custodisce infatti mangrovie, formazioni biogeniche di organismi come coralli e spugne e una grande biodiversità marina che comprende specie a rischio come il delfino della Guiana o il lamantino, oltre ad ospitare alcune terre indigene ed aree protette. A costituire un ostacolo insormontabile, in particolare, è la mancata realizzazione, da parte di Petrobras, di una valutazione dell’impatto ambientale idonea a valutare le effettive conseguenze delle trivellazioni in una zona tanto importante e delicata.
La richiesta di trivellazione nell’area è stata presentata per la prima volta nel 2014 da BP Energy do Brasil, la società originariamente responsabile del progetto. Nel dicembre 2020, i diritti di esplorazione petrolifera nelle acque profonde del bacino della foce del Rio delle Amazzoni sono stati trasferiti a Petrobras, compagnia petrolifera statale solo per modo di dire, in quanto il 63,4% del capitale totale d’impresa è sotto il controllo di azionisti privati. In quasi 10 anni, tuttavia, non è mai stato realizzato uno studio sull’impatto delle eventuali attività estrattive nella zona.
Petrobras ha già fatto sapere che farà appello contro la decisione di Ibama, allo scopo di “dimostrare la conformità con tutti i requisiti ripetutamente presentati dall’ente federale di autorizzazione”, a sua detta “rispettati rigorosamente”. “La compagnia rimane impegnata nello sviluppo del Margine Equatoriale brasiliano, riconoscendo l’importanza di nuove frontiere per garantire la sicurezza energetica del Paese e le risorse necessarie per una transizione energetica equa e sostenibile” ha dichiarato l’azienda petrolifera.
La decisione dell’Ibama potrebbe rappresentare un vero e proprio punto di svolta nella conservazione dell’ambiente e del territorio brasiliano. Sotto la presidenza di Bolsonaro l’istituto, che avrebbe dovuto occuparsi della tutela dell’ambiente e delle comunità indigene, è stato notevolmente indebolito. Così, la foresta Amazzonica e la ricchezza biologica e sociale al suo interno sono state esposte alla deforestazione e allo sfruttamento indiscriminato delle risorse, con conseguenze devastanti. Eduardo Bim, presidente dell’istituto durante il governo di Bolsonaro, ha notevolmente contribuito a questo processo – con il supporto delle politiche degli ex ministri per l’Ambiente, Ricardo Salles prima e Joaquim Leite dopo. Bim è arrivato al punto di essere rimosso dall’incarico per il suo presunto coinvolgimento per lo scandalo riguardante la più grande esportazione illegale di legname dal Paese, salvo poi tornare al proprio incarico 90 giorni dopo. Sotto la guida di Rodrigo Agostinho, e con le politiche introdotte dal governo Lula, l’istituto sembra finalmente essere tornato alla sua originaria funzione di tutela del patrimonio ambientale brasiliano.
Tuttavia, per quanto Lula si voglia mostrare in tutto e per tutto volto alla tutela della foresta amazzonica e delle comunità indigene, il suo governo non è esente da alcune scelte controverse. Uno dei progetti che più hanno sollevato polemiche e proteste è infatti quello che riguarda la realizzazione dei 933 chilometri della linea ferroviaria EF-170 che, snodandosi attraverso la foresta, dovrebbe ridurre i costi del trasporto della soia – di per sé una delle principali cause della deforestazione amazzonica e della quale il Brasile è il secondo produttore al mondo. La realizzazione della linea ferroviaria richiede la distruzione di 23 mila ettari di foresta pluviale, oltre ad implicare la divisione di comunità e territori indigeni. Altro progetto controverso riguarda poi il progetto di asfaltatura degli 870 chilometri della BR-319, l’autostrada destinata a unire Manaus con il resto del Paese. Anche questo, se portato a termine, comporterà un’impennata nel livello della deforestazione.
Altro dettaglio non da poco sta nel fatto che fu proprio Lula, nel 2010 (durante il suo primo mandato da presidente del Brasile), ad annunciare l’inizio dell’esplorazione alla ricerca di pré-sal nel Paese. Il 15 luglio 2010, infatti, Petrobras avviava la produzione commerciale di pré-sal nel pozzo di Baleia Franca, dal quale venivano estratti circa 13 mila barili di petrolio al giorno. Anche allora, le preoccupazioni sulla contaminazione dell’ambiente erano molto alte, in particolare per quanto riguardava la fuoriuscita del petrolio e i potenziali devastanti danni per l’ecosistema marino circostante che ne sarebbero conseguiti, dal momento che si trattava di una frontiera estrattiva del tutto nuova – e, infatti, gli incidenti e le conseguenti fuoriuscite di greggio non sono mancati. «Il governo ha cambiato le norme e le royalty, creando un’impresa statale: ma non ha detto una parola sugli effetti che lo sfruttamento intenso del pré-sal potrà avere sull’ambiente» aveva dichiarato allora Adriano Pires, del CBIE (Centro Brasiliano Infrastrutture).
Insomma, per quanto le decisioni dell’attuale governo brasiliano possano comportare un effettivo beneficio per l’ambiente e la popolazione, in particolare dopo gli anni di devastazioni messe in atto dall’amministrazione di Bolsonaro, sarebbe ingenuo non tenere a mente che, alle spalle, vi è sempre un tornaconto politico di qualche tipo.
[di Valeria Casolaro]