Nella giornata di domenica la presidente del Consiglio Giorgia Meloni (FdI) e il presidente della Regione Emilia-Romagna Stefano Bonaccini (PD) si sono incontrati a Ravenna, uno dei luoghi maggiormente colpiti dagli eventi climatici estremi degli ultimi giorni. Bonaccini ha definito la visita della Meloni «significativa e importante», dal momento che il primo ministro ha lasciato il G7 in corso a Hiroshima proprio per seguire la chiamata della propria «coscienza» ed essere vicina alle vittime del disastro. Un incontro dal clima disteso, dunque, che mostra come a livello istituzionale non vi siano particolari attriti e che si replicherà domani a Palazzo Chigi. «Metteremo in fila tutta una serie di richieste» ha dichiarato il presidente della Regione. Obiettivo: aiutare i cittadini a far fronte alla gravissima crisi ancora in corso, che ha messo in ginocchio buona parte del territorio romagnolo. Tanto Bonaccini – che da ben 8 anni ricopre anche il ruolo di Commissario Straordinario per il rischio idrogeologico per l’Emilia-Romagna – quanto Meloni, tuttavia, hanno un ruolo importante tanto nella gestione del territorio quanto nel taglio alle risorse che avrebbero dovuto essere destinate alla prevenzione di eventi di questo tipo.
I numeri parlano chiaro: la catastrofe in Emilia-Romagna è una delle peggiori mai registrate negli ultimi anni. Oltre 36 mila gli evacuati (27 mila dei quali solamente nel ravennate), 305 frane, più di 500 le strade chiuse. 14 le vittime accertate fino ad ora. Impossibile non domandarsi se quanto avvenuto non potesse essere evitato, o se quantomeno fosse stato fatto tutto il possibile per non andare incontro a tale tipo di eventi. L’Emilia-Romagna, e in particolare proprio le province di Ravenna e Ferrara, erano di fatto identificate come le zone a rischio più elevato di allagamento in caso di alluvione, detenendo la Regione il primato della cementificazione delle aree alluvionali – oltre a rientrare tra le prime tre Regioni italiane per consumo di suolo, con il superamento, nel 2021, dei 200 mila ettari.
E dire che l’Emilia-Romagna doveva rappresentare un esempio virtuoso proprio perché è una delle poche Regioni che dispone di una legge per il contenimento del consumo di suolo (la L.R. 24/2017, Disciplina regionale sulla tutela e l’uso dei territori), siglata da Bonaccini, la quale prevede lo “Stop a nuove previsioni insediative, recupero e riqualificazione del patrimonio abitativo esistente e, per quanto riguarda gli interventi previsti dai precedenti Piani urbanistici, alcuni meccanismi per ‘disinnescarli'”. “Nonostante da parte di alcune fonti si sostengano tesi diverse, i numeri certificano che la legge funziona” scrive la Regione. Tuttavia, quanto accaduto in questi giorni non può che sollevare enormi dubbi sulla gestione da parte della giunta regionale in questi anni. Soprattutto se si considera che, nel 2021, l’Emilia-Romagna si colloca tra le prime tre Regioni con il maggior incremento di suolo consumato.
Secondo quanto emerso da una relazione della Corte dei Conti, inoltre, il presidente della Regione Bonaccini e la sua ex vice, Elly Schlein, avrebbero restituito al governo 55,2 dei 71,9 milioni di euro ricevuti dallo Stato per effettuare la manutenzione e la messa in sicurezza dei corsi d’acqua della Regione. La giunta regionale, in oltre dieci anni, non sarebbe stata infatti in grado di portare a termine entro le tempistiche stabilite i lavori, tra i quali figurano: lavori di sfalcio, taglio di vegetazione riprofilatura e ripristino delle sponde in frana in tratti saltuari nei corsi d’acqua dei Bacini dell’Indice e del Sillaro; interventi urgenti e d’emergenza nei corsi d’acqua dei bacini del torrente Idice; interventi di emergenza nei corsi d’acqua dei bacini del torrente Sillaro; lavori di sfalcio, taglio di vegetazione riprofilatura e ripristino delle sponde in frana in tratti saltuari dei torrenti Idice, Savena, Sillaro, Quaderna, Gaiana e Fossatone; lavori di manutenzione del torrente Ravone.
Dal canto suo Giorgia Meloni, con la Legge di Stabilità siglata lo scorso dicembre, ha tagliato di ben il 40% i fondi all’Autorità di Bacino Distrettuale del fiume Po, riducendo il – già esiguo – budget da 10 a 6 milioni di euro. Una cifra alquanto misera, se si considera che la perimetrazione delle zone di competenza dell’Autorità coincide in larga parte con il confine del bacino idrografico del Po, coprendo quindi i territori di Liguria, Piemonte, Valle D’Aosta, Emilia-Romagna, Toscana, Lombardia, Provincia Autonoma di Trento, Marche e Veneto (praticamente l’intero Nord Italia). Le motivazioni riguardo il taglio al budget destinato all’ente, che si occupa di programmare gli interventi volti alla salvaguardia e al ripristino del territorio, non sono mai state fornite, nonostante il segretario generale, Alessandro Bratti, avesse messo in guardia il ministero dell’Ambiente (dal quale dipende l’Autorità) delle conseguenze di tale riduzione. Tra queste, «l’azzeramento degli stanziamenti per gli studi sul territorio, i servizi specialistici e le convenzioni scientifiche necessari per l’attività istituzionale di pianificazione» e l’impossibilità di sostenere le spese ordinarie di gestione, mettendo così a rischio «gli studi specialistici a supporto dell’aggiornamento del PAI [Piano Assetto Idrogeologico, il quale si occupa di definire gli interventi strutturali su versanti e corsi d’acqua, oltre che indirizzi e limitazioni d’uso del suolo nelle zone a rischio idraulico e idrogeologico] dei bacini Reno, bacini romagnoli e Conca Marecchia».
A fronte dei dati disponibili, difficilmente si può affermare che quanto sta avvenendo in Romagna non fosse almeno in parte evitabile o quantomeno prevedibile. Evidentemente, le responsabilità politiche e istituzionali sono innegabili. E a farne la spesa, ancora una volta, sono i cittadini.
[di Valeria Casolaro]
Ai ferri!
Grazie V. Casolaro. Se volessimo trovare un lato positivo a fronte di tutto questo disastro, è l’affermarsi della consapevolezza che non esiste nessuna etica né a destra né a sinistra. La conquista e la gestione del potere ha a che fare solo con l’obbedienza agli interessi della finanza e non considera il bene comune. la cura di Aria, Acqua, Terra… quindi il patrimonio dei popoli, non rientra nei programmi di governo, a nessun livello.
Anche nella Bassa Polesana è piovuto molto… Per quel che riguarda l’uso di ioduro di argento e composti simili per “far piovere”, tecnologia sviluppata dagli USA negli anni ’50, sparsi nell’atmosfera a medie ed alte quote dagli aerei in presenza di nuvole “capricciose” che non obbediscono ai desideri umani (non solo scie chimiche…), tecnologia oggi sicuramente perfezionata con l’uso di droni ed aerei “invisibili”, tale ipotesi non pare nemmeno una delle più azzardate. Per non sembrare troppo complottisti basta documentarsi su quanto fatto a Beijing nel 2018 per purificare l’aria dallo smog e dalle successive inondazioni (meno pubblicizzate) che seguirono.
Questo è il prezzo dell’ESTERNAZLIZZAZIONE dei servizi dello Stato. Quando io ero ragazzo negli anni 80 e fino ai primi anni 90 qui in Sicilia ogni primavera i fiumi e i corsi d’ acqua venivano puliti da DIPENDENTI delle Province. Oggi tutti questi servizi sono appaltati a ditte esterne, quando va bene, o non fatti proprio. Ma gli Enti Pubblici ormai NON hanno nemmeno personale QUALIFICATO che possa controllare quello che fanno le ditte esterne. Questo è il risultato……p.s. in Italia la stragrande maggioranza dei corsi d’acqua non viene MAI pulita dalla vegetazione!!
La legge per il contenimento del consumo di suolo vale solo per gli sfigati. Solo nel ravennate negli ultimi anni sono stati costruiti centri commerciali come se piovesse ed altri sono in progetto. Uguale nel faentino e nel lughese. Forlì e Cesena ormai hanno più cemento che terra. Io sono di Bagnacavallo e non ho difficoltà ad ammettere che ( in casi come questo) ognuno ha quel che si merita. Sempre che si sia trattato di un evento naturale e non di una cazzata compiuta da qualcuno che voleva fare terminare la siccità alla maniera dei cowboy come hanno lasciato intendere su la7 .