«C’era un problema di progettazione del Ponte Morandi ed era stata fatta una segnalazione. Avrei dovuto far casino ma non l’ho fatto, non so perché. Forse temevo di perdere il posto di lavoro». A parlare, nel teatro del processo sul crollo del Ponte Morandi in cui sono imputate 59 persone, è Gianni Mion, ex Ad della holding dei Benetton Edizione, ex consigliere di amministrazione di Aspi e della sua ex controllante, Atlantia, che all’epoca possedeva Autostrade per l’Italia. Una dichiarazione che il manager aveva già fatto davanti al pm Massimo Terrile nel luglio 2021, ma che ora piomba come un macigno in dibattimento. Se il suo contenuto sarà effettivamente confermato in sede processuale, la verità giudiziaria potrebbe ufficialmente sancire ciò che in molti hanno motivo di pensare: molto probabilmente, la caduta del ponte si sarebbe potuta evitare con largo anticipo.
Nello specifico, Mion si riferisce a quanto sarebbe emerso in occasione di una riunione, avvenuta il 16 settembre 2010 – otto anni prima del crollo -, che coinvolse i più importanti dirigenti della holding Edizione e delle società controllate. All’incontro avrebbero preso parte l’allora amministratore delegato di Autostrade per l’Italia, Giovanni Castellucci, il direttore generale operazioni di Autostrade, Riccardo Mollo, Gilberto Benetton (morto nell’ottobre 2018), i membri del collegio sindacale di Atlantia e anche tecnici e dirigenti di Spea (Società progettazioni edili autostradali). In quell’occasione, ha ricordato Mion, «emerse che il ponte aveva un difetto originario di progettazione e che era a rischio crollo. Chiesi se ci fosse qualcuno che certificasse la sicurezza e Riccardo Mollo mi rispose: “ce la autocertifichiamo“. Non dissi nulla e mi preoccupai. Era semplice: o si chiudeva o te lo certificava un esterno. Non ho fatto nulla, ed è il mio grande rammarico».
Mion ha poi aggiunto che, a suo parere, «fu fatto un errore da parte di Aspi quando acquistò Spea, la società doveva stare in ambito Anas o del ministero, doveva rimanere pubblica. Il controllore non poteva essere del controllato». La sensazione del manager era «che nessuno controllasse nulla» e che ci fosse «un collasso del sistema di controllo interno e esterno, del ministero non c’era traccia».
Nel corso della deposizione di Mion, che al momento figura a processo come testimone, l’avvocato Giorgio Perroni – legale di uno dei 59 imputati, Riccardo Rigacci, ex direttore del Primo tronco autostradale – ha chiesto di sospendere l’esame e trasmettere gli atti ai pm, affinché, in seguito a tali dichiarazioni, valutassero l’iscrizione del manager nel registro degli indagati. Se la Procura procedesse in tal senso, però, il contenuto della testimonianza di Mion diventerebbe inutilizzabile. I giudici hanno lasciato proseguire l’audizione, riservandosi di decidere in un momento successivo.
«Sapete dove mi trovo adesso? Sono al cimitero, a portare i fiori alla mia famiglia che era su quel ponte e che non c’è più, per questo oggi non ero in aula ma c’erano i nostri legali», ha dichiarato Egle Possetti, presidente del comitato ricordo vittime del ponte Morandi, che è stato accettato come parte civile nel processo. La donna ha attaccato Mion: «Se fossi stata al suo posto e avessi saputo lo stato delle infrastrutture non sarei stata zitta e avrei fatto il diavolo a quattro per far emergere il problema. Ci sono ancora troppe omissioni e troppa omertà e questo noi come parenti non lo possiamo accettare. Una persona con il suo ruolo non poteva stare zitta. Perché non si può stare zitti quando si ha tra le mani una informazione di tale gravità».
[di Stefano Baudino]
Ergastolo si meritano, è stata una strage, devono capirlo e pagarne le conseguenze!
In galera… diceva Bracardi a quelli della notte… in galera…
…troppo comodo… in Ucraina, sotto le bombe, a capire la fragilità della vita umana…
Una precisazione:
Gianni Mion non è un povero consigliere che temeva all’epoca di perdere il posto di lavoro.
Arrivò in Benetton nel 1986 e guidò l’azienda nell’era delle privatizzazioni. Creò l’Opa Autostrade nel 2003 e la fusione con Abertis nel 2006.
Uscì dal board nel 2017, dopo 26 anni, per volere dei soci fondatori. Tornò dopo due anni, richiamato dai discendenti della famiglia, come “uomo di fiducia”.
Questo uomo oggi dichiara di provare RAMMARICO per il suo silenzio e di aver agito in questo modo per paura di perdere lo stipendio.
Non so. Mi pare una barzelletta.
No, nessuna barzelletta, ci prendono proprio bellamente per il culo, tanto sanno di essere intoccabili e che nessuno, purtroppo, andrà sotto le loro case per linciarli!