mercoledì 18 Dicembre 2024

Meno deficit e debito pubblico: Bruxelles torna a raccomandare l’austerity all’Italia

In vista del ritorno, previsto per il 2024, delle regole del Patto di Stabilità riformato – sospese in seguito alla crisi pandemica, prima, e a quella energetica, dopo – la Commissione europea, con le “raccomandazioni di primavera” torna ad ammonire l’Italia per debito e deficit eccessivo e avverte che Roma rischia la procedura d’infrazione già a partire dal prossimo anno. Fari puntati anche sui ritardi del PNRR, e sulla cosiddetta “flat tax”, la quale solleverebbe «preoccupazioni circa l’equità e l’efficienza del sistema fiscale». Inoltre, Bruxelles è tornata ad insistere – come ogni anno – sulla riforma del Catasto che prevede l’allineamento dei «valori catastali con i valori correnti di mercato», oltre al ripristino della tassazione sulla prima casa e l’incremento della tassa di successione. Già l’anno scorso il governo Draghi aveva avviato la riforma sugli immobili che non è passata però per il voto contrario del centrodestra.

Per quanto riguarda la politica fiscale, nel documento redatto da Bruxelles si legge che «la Commissione ha dichiarato che avrebbe proposto al Consiglio di avviare procedure per i disavanzi eccessivi nella primavera del 2024, sulla base dei dati relativi ai risultati per il 2023. L’Italia dovrebbe tenerne conto nell’esecuzione del suo bilancio 2023 e nella preparazione del documento programmatico di bilancio per il 2024», in quanto il Paese «presenta squilibri macroeconomici eccessivi». In base alle raccomandazioni europee, Palazzo Chigi dovrebbe contenere la spesa primaria e ridurre il saldo almeno dello 0,7% il prossimo anno, limitando l’aumento della spesa primaria a non più dell’1,3%. La Commissione ha sottolineato la persistenza di «vulnerabilità legate all’elevato debito pubblico e alla debole crescita della produttività»: quest’ultima – creata da fattori esogeni quali la crisi pandemica e quella energetica – rallenterebbe la riduzione del debito pubblico, intaccando le opportunità di lavoro e incidendo sui bilanci delle banche. Tuttavia, invece di rispondere con una maggiore iniezione di liquidità nell’economia reale per far fronte al rallentamento economico, Bruxelles risponde con l’immancabile austerità – cardine del liberismo economico che ha provocato già effetti nefasti in Africa, ma anche in Grecia per quanto riguarda l’Europa – e la BCE con l’aumento dei tassi d’interesse, misura economica restrittiva che comporta un calo della domanda interna a causa dell’aumento del costo del denaro. Bruxelles ha dichiarato che nelle prossime valutazioni prenderà in considerazione i costi extra per gli aiuti all’Emilia-Romagna colpita da alluvioni ed esondazioni, ma non vi è ancora nulla di certo: «Alla luce delle devastanti alluvioni che hanno colpito l’Italia nel maggio 2023, il costo del sostegno di emergenza diretto relativo a tali alluvioni sarà preso in considerazione nelle successive valutazioni di conformità e sarà in linea di principio considerato una misura una tantum e temporanea».

Sul fronte del PNRR, la Commissione evidenzia il crescente rischio di ritardi e invita Roma ad «assicurare l’effettivo assorbimento delle sovvenzioni del PNRR e di altri fondi dell’UE, in particolare per promuovere le transizioni verde e digitale». Nel rapporto si legge anche che «procedere rapidamente all’attuazione del Piano e alla negoziazione della sua modifica è essenziale data la natura temporanea del dispositivo per la ripresa e la resilienza in vigore fino al 2026». Bruxelles invita quindi Roma a rafforzare la capacità amministrativa, soprattutto a livello locale, per portare a termine gli impegni del programma, costruendo al contempo un quadro di governance efficace e pienamente operativo per l’attuazione tempestiva del Piano.

Un punto fondamentale delle raccomandazioni europee riguarda il saldo primario, ossia la differenza fra spesa pubblica ed entrate al netto del costo del debito pubblico. La Commissione scrive che «l’Italia avrebbe bisogno di un aumento medio annuo del saldo primario strutturale in percentuale del PIL di 0,85 punti percentuali per conseguire una riduzione plausibile del debito o garantire che il debito pubblico sia mantenuto a livelli prudenti nel medio termine». Tradotto significa sempre più austerità e, dunque, sempre meno possibilità di spendere, tra le altre cose, per il sistema sanitario, scolastico e di previdenza sociale. E ciò nonostante l’Italia, per quanto riguarda l’avanzo primario, sia uno dei Paesi più “virtuosi” al mondo: negli ultimi 30 anni, infatti, ha sempre speso meno del totale delle entrate, al netto degli interessi sul debito che si configurano, dunque, come la reale causa d’indebitamento. Si tratta di un dato confermato anche dall’FMI che ha una sezione dedicata agli avanzi primari registrati in rapporto al Pil per 115 Paesi del mondo dal 1990 a oggi: stilando una classifica, è emerso che l’Italia si posiziona all’undicesimo posto con un avanzo primario medio annuo dell’1,75% rispetto al PIL.

Nonostante ciò, la Commissione richiede ulteriori sacrifici, le ennesime misure “lacrime e sangue” – già attuate da Mario Monti nel 2011 con risultati disastrosi – che lasceranno ancora più a secco l’economia reale e la possibilità di finanziare i servizi pubblici, comprese le politiche per promuovere la natalità, rispetto alla quale gli stessi media che predicano l’austerity lanciano costantemente l’allarme. Per incentivare le nascite, così come qualunque altra componente dello Stato sociale, servono risorse e investimenti, inattuabili con l’impalcatura economica concepita a Bruxelles che si basa sui parametri di Maastricht.

Con la riforma del Patto di stabilità, l’Italia è a rischio commissariamento, ossia potrebbe perdere gli ultimi residui di autonomia, con l’obbligo di sottoporre ogni decisione che riguarda l’economia del Belpaese al vaglio e all’approvazione dell’Ue che, dal 2024, ha stabilito per le nazioni eccessivamente indebitate un piano di rientro quadriennale: le istituzioni comunitarie potranno controllare passo dopo passo le politiche dei governi nazionali, che dovranno superare un esame ogni anno in concomitanza con la presentazione della legge di Bilancio. In questo modo, il governo italiano diventa a tutti gli effetti il mero esecutore delle politiche decise a Bruxelles.

[di Giorgia Audiello]

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