Si può osservare il tempo? Sembra paradossale. Non si tratta di considerare le conseguenze del suo passaggio, troppo banale, né di misurarne la durata, causa di troppe ansie, né di conoscerne il fluire, basta un orologio, ma di considerarlo per come è, in sé, come qualcosa o qualcuno che non conosciamo ancora bene, come un oggetto di un museo oppure come un fenomeno naturale.
L’anno scorso, era primavera, col cielo sereno e un vento leggero, mi sono trovato sul vertice di una collina, in Portogallo e il tempo era davanti a me, solido ma neanche troppo maestoso, come una torre, un campanile, o una navicella spaziale, là in alto, pronta a decollare.
Ero accanto a un mulino. Un mulino macina allusioni, muove il tempo, produce narrazioni virtuali, sorveglia come un faro l’orizzonte, contiene ospiti ignoti. Custodisce ad esempio Don Chisciotte e i suoi deliri ma anche Amleto, l’eroe tragico del movimento, delle illusioni. Insuperabile il libro ‘Il Mulino di Amleto’ di Santillana e von Dechend, edito da Adelphi, che va alle origini mitiche del nostro fantasticare.
Un mulino così, solitario, ti sottrae alla immediatezza dell’esperienza, ti sospinge in un altrove, ti fa diventare regista di quegli attimi sospesi che si riempiono di flash back. Come se attorno alle pale si svolgesse la pellicola di un film.
Il movimento, dunque, diventa misura del tempo, come declamavano i filosofi antichi e come ricordava Umberto Eco: un mulino, ispirazione, fra l’altro, del suo romanzo ‘Il pendolo di Foucault’.
Quando siete in autostrada e incrociate qualche tir tedesco, e leggete sul telone Schwarzmuller, pensate che quel ‘mugnaio nero’ era nelle leggende il diavolo, la forza oscura che teneva unite, non separate, la farina e la crusca.
Dividere, invece, distinguere, e quindi conoscere e immaginare è invece la giusta sfida del tempo.
[di Gian Paolo Caprettini]