In anticipo sui tempi (Daniela Santanchè aveva parlato dei primi di giugno) è stato reso noto il disegno di legge del ministero del Turismo finalizzato alla regolamentazione degli affitti di alloggi tramite la piattaforma Airbnb. Il progetto era fortemente desiderato sia da Federalberghi – che desiderava contenere mettere un freno alla concorrenza – sia dai Comuni, in particolare quelli a “spiccata vocazione turistica” – che desideravano regolarne l’attività per evitare l’alterarsi delle dinamiche immobiliari e le conseguenti difficoltà di trovare un appartamento per coloro che in quella città ci devono vivere. La bozza del ddl, tuttavia, ha lasciato scontenti tanto i primi quanto i secondi. L’unica novità introdotta per regolamentare gli affitti brevi, infatti, è l’introduzione di un obbligo di durata minima di due giorni del soggiorno (a meno che non si tratti di attività imprenditoriali), “pena la nullità del contratto”. Nulla è stato fatto per regolamentare il numero degli alloggi messi in affitto su Airbnb, come non viene inserita una definizione di centro storico – richiesta dai sindaci dei Comuni – né risolta la divisione di competenze tra Stato (per quanto riguarda le locazioni) e Regioni (per il turismo). Inoltre, non avendo il ministero del Turismo alcuna competenza sui contratti di locazione, non è chiaro come potrà rilevare le infrazioni al limite di soggiorno.
Tra le altre specifiche introdotte dal ddl vi è anche l’assegnazione di un codice identificativo nazionale, con l’obbligo di inserirlo in una banca dati (mai realizzata, nonostante fosse stata annunciata nel 2021), pena una sanzione da 5 mila euro. Prevista anche la creazione, da parte dell’Istat, di una nuova classificazione dell’attività ricettiva in appartamenti esercitata in forma imprenditoriale e di uno specifico codice Ateco. Riguardo il limite minimo di pernottamento, la misura risulta essere pressoché inutile, in quanto la media del soggiorno, in Italia, è di 3,3 notti.
La richiesta di una regolamentazione alla piattaforma di Airbnb era stata lanciata dai sindaci di 14 città italiane lo scorso aprile, tra le quali Bologna, Venezia, Firenze. Il motivo: l’impennata degli annunci extra-alberghieri, che sono passati dai 20 mila del 2011 ai 700 mila del 2022. Gli enti minori avevano auspicato che l’esecutivo, nel redigere la bozza di legge nazionale, si ispirasse alla bozza formulata dal movimento Alta Tensione Abitativa, che intendeva “colmare un vuoto normativo con una regolamentazione nazionale che consegni ai Comuni uno strumento concreto per limitare la diffusione incontrollata delle locazioni brevi, al fine di salvaguardare la residenzialità”. Con la realizzazione della bozza si sarebbe così potuto estendere l'”esperimento Venezia”, città alla quale, durante il governo Draghi, era stato conferito uno status particolare (non ancora applicato) che le avrebbe permesso di fissare un tetto massimo al numero di alloggi destinati agli affitti turistici. La ministra del Turismo, Daniela Santanchè, si era tuttavia già detta contraria all’idea di cedere un tale margine di autonomia ai Comuni.
Così come è stato presentato, il disegno di legge ha lasciato scontenti tanto i proprietari degli alberghi quanto i Comuni. «Non possiamo nascondere la nostra delusione per il contenuto della proposta», la quale non è stata in grado «di incidere concretamente sul problema della concorrenza sleale e dell’abusivismo che inquinano il mercato», ha dichiarato Federalberghi.
[di Valeria Casolaro]
praticamente come non avessero fatto nulla, che colpo da maestri ahhaha