giovedì 21 Novembre 2024

Studio: l’alluvione in Romagna c’entra poco con la crisi climatica (ma il problema esiste)

Il disastro in Emilia Romagna, responsabile di 17 morti e decine di migliaia di sfollati, è un evento catastrofico raro che può ripetersi ogni 200 anni circa, è quanto emerge dallo studio condotto dal World Weather Attribution, un consorzio di scienziati del clima fondato nel 2015 che indaga il ruolo del cambiamento climatico negli eventi estremi in tutto il mondo. Secondo l’istituto di ricerca, specializzato nell’indagare la correlazione scientifica tra cambiamento climatico e singoli eventi estremi, uno dei fattori che ha contribuito alla devastazione in Romagna è la siccità, definita come «indubbiamente legata al cambiamento del clima», ma allo stesso tempo identificata come una causa indiretta. Inoltre, lo studio certifica come l’eccessivo consumo di suolo e la cementificazione abbiano giocato un ruolo nell’aggravare gli effetti devastanti delle piogge eccezionali che hanno colpito la regione italiana.

I ricercatori hanno confrontato le precipitazioni e gli accumuli di pioggia del 2,10 e 17 maggio con le medie storiche estratte da studi sottoposti a revisione dei 21 giorni più piovosi tra aprile e giugno nella regione, calcolate direttamente dalle 60 centraline meteo presenti sul territorio. Le precipitazioni di maggio sono state l’evento più piovoso mai registrato in 60 anni e hanno una frequenza di circa 200 anni. In ogni anno, quindi, la probabilità che si verifichi un evento di portata simile è dello 0,5%. Per valutare la correlazione con il climate change, è stato esaminato lo stesso evento di 21 giorni in 19 modelli con e senza l’aumento del cambiamento climatico indotto dall’uomo. È stato analizzato anche il cambiamento di uso dei suoli e le variazioni negli aerosol in atmosfera. Il risultato? In nessuno si è verificato un cambiamento significativo di probabilità o intensità del verificarsi di un evento simile. Le probabilità sono risultate compatibili anche in scenari con un mondo più freddo di 1,2°C. C’è di più: sembrerebbe che uno degli effetti del cambiamento climatico indotto dall’uomo nel Mediterraneo sarebbe la diminuzione di sistemi a bassa pressione, cioè i fenomeni che hanno dato origine ai tre episodi di maggio. Il riscaldamento globale, in questo caso, avrebbe portato ad una riduzione delle precipitazioni intense, compensando il previsto aumento delle piogge causato dall’aumento di umidità in atmosfera.

Lo studio, pur specificando che  “si è trattato di un evento estremamente raro e la maggior parte delle infrastrutture non può ragionevolmente essere costruita per resistere a eventi a frequenza così bassa”, non ha risparmiato di far notare come “negli ultimi decenni, la rapida urbanizzazione e il tessuto urbano sempre più denso hanno limitato lo spazio per il drenaggio dell’acqua e aumentato il rischio di inondazioni, il che ha esacerbato gli impatti delle forti piogge“, riconoscendo come il consumo di suolo abbia giocato un ruolo nel favorire le conseguenze devastanti dell’alluvione.

L’eccezionalità della catastrofe in Emilia Romagna è legata direttamente a fattori di origine antropica? Il no è secco ma non definitivo: per valutarlo adeguatamente servirebbero serie storiche più lunghe. Che non sono disponibili. Davide Faranda, ricercatore del LSCE dell’Istituto Pierre Simon Laplace e tra gli autori dello studio sull’alluvione in Romagna ha dichiarato: «Bisogna attendere di effettuare studi approfonditi prima di stabilire legami diretti tra eventi disastrosi, come l’alluvione in Emilia-Romagna e il cambiamento climatico. […] Ci sono eventi sistematicamente legati al cambiamento come la temperatura, la siccità, ma quando si parla di circolazione atmosferica (venti, alta e bassa pressione) vanno effettuati studi singoli». Per avere la risposta definitiva c’è un ostacolo: 10 milioni di euro. Secondo il ricercatore gli strumenti e le tecnologie ci sono, ma sarebbe necessario creare un piano di ricerca più vasto ed ambizioso.

Importante notare che, seppure alcuni media abbiano utilizzato la pubblicazione del World Weather Attribution per parlare di “bufala del cambiamento climatico”, come se il lavoro smentisse genericamente la realtà e le conseguenze nocive del surriscaldamento globale, una lettura di questo tipo è molto lontana e fuorviante rispetto a quanto riportato dall’istituto indipendente fondato nel 2015 da due climatologi di notevole fama accademica: la tedesca Friederike Otto e l’olandese Geert Jan van Oldenborgh. Seppur in relazione all’alluvione romagnola il World Weather Attribution ritenga non direttamente correlato l’evento al cambiamento climatico, sono numerosissimi infatti gli eventi metereologici estremi che l’istituto collega direttamente alla crisi climatica. Per esempio, sempre secondo le ricerche del World Weather Attribution, l’impatto umano avrebbe aumentato la gravità della siccità nel Corno d’Africa, causato i picchi di caldo record nel bacino del Mediterraneo e ha persino aumentato la probabilità di gelate precoci in Francia.

[di Roberto Demaio]

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2 Commenti

  1. La “crisi climatica” è solo la scusa che viene data in pasto al popolo bue per cancellare le decennali responsabilità del malaffare che amministra la cosa pubblica, che invece di adoperarsi per ridurre l’impatto dei fenomeni estremi, si mangia i soldi pubblici per darli in pasto agli amici degli amici, in una spirale senza fine che causa morte e distruzione.

  2. Articolo che rischia di fare sembrare la questione più annacquata di quel che sarebbe, il che può essere pasto per fraintendimenti e strumentalizzazioni. Sembra ci sia ambiguità di fondo tra il titolo e l’articolo nella sua interezza (perfino la sua brevità è inopportuna), tant’è che non mi viene di certo da dedurre che la crisi climatica c’entri poco, nonostante lo studio invochi ad attendere ricerche più approfondite su determinati eventi (ma l’autore ha riflettuto a sufficienza sul titolo da mettere?). Ora, fuori di dubbio che l’autore abbia avuto buone intenzioni, attenzione a titoli del genere: per chi si limita a leggere quello o al massimo il primo paragrafo sono neanche più tanto velati piatti serviti per chi poi traduce sbrigativamente il “non c’entrerebbe” (ma veramente abbiamo ancora bisogno di dimostrarlo per ogni singolo caso?) con il “non esisterebbe” (negazionismo climatico). Il problema è che rimane la sensazione, leggendolo, che l’intento sia stato quello di navigare nelle acque torbide del sensazionalismo di questo studio più che provare a renderci punti più cristallini sull’evento che, eccezionale fin che si vuole, sta dentro una cornice di crisi dove c’entra eccome la gestione politica scellerata del territorio (consiglio di leggere online il “Non è maltempo, è malterritorio” ben spiegato da Wu Ming).

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