giovedì 21 Novembre 2024

Il governo golpista peruviano ringrazia gli USA aprendo le porte ai marines

In seguito al voto del Congresso, la presidente del Perù Dina Boluarte ha firmato due risoluzioni legislative con le quali ha dato il via libera all’ingresso di militari e materiale bellico statunitensi nel Paese. Il personale militare Usa parteciperà alle attività di addestramento in Perù congiuntamente alle Forze Armate e alla polizia peruviana dal prossimo 1° giugno fino al 31 dicembre 2023. La decisione giunge in un momento di grande instabilità politica: lo scorso dicembre Pedro Castillo, presidente socialista democraticamente eletto, è stato deposto dopo aver tentato di sciogliere il Congresso. L’attuale presidente Dina Boluarte, che ne ha preso il posto, è bersaglio di grandi proteste nel paese – più volte represse nel sangue, con decine di morti – e invisa ai parlamentari di sinistra, che a gennaio ne hanno chiesto l’impeachment.

Precisamente, con la risoluzione legislativa n. 31757, il Perù ha ufficialmente autorizzato l’ingresso “di mezzi aerei, mezzi nautici e personale militare degli Stati Uniti d’America”, in un periodo che va “dal 1° giugno al 29 agosto 2023”, in vista dello “svolgimento di attività di cooperazione addestrativa con le Forze Armate, associate all’Esercitazione Militare Internazionale Resolute Sentinel 2023“. La finalità dell’esercitazione è quella di contribuire alla formazione delle Forze Armate nei ruoli di difesa e sicurezza, controllo dell’ordine interno, supporto al Sistema nazionale di gestione del rischio di catastrofi, partecipazione allo sviluppo nazionale e supporto alla politica estera.

L’orizzonte temporale legato alla permanenza delle forze statunitensi nel Paese viene però fissato all’ultimo giorno del 2023 dalla risoluzione n. 31758, attraverso cui si autorizza “l’ingresso di personale militare degli Stati Uniti d’America nel territorio della Repubblica del Perù”, sempre a partire “dal 1° giugno” e sempre a fini di addestramento con “le Forze Armate” e “la Polizia Nazionale del Perù“.

Tale mossa appare in netta controtendenza rispetto all’ormai irreversibile processo di allontanamento dalla sfera di influenza statunitense da parte dei Paesi sudamericani, che solo tre giorni fa ha trovato il suo apice nella firma congiunta, da parte di 11 Stati, del documento “Brasilia Consensus“. Nel testo, infatti, si sono ribaditi valori e obiettivi condivisi degli Stati sudamericani, tra cui una maggiore integrazione politico-economica della regione e una sempre più marcata indipendenza dagli Usa. Il Perù era rappresentato dal Presidente del Consiglio dei ministri, Alberto Otárola, dal momento che la Presidente Boluarte non ha potuto presenziare a causa dei disordini interni al Paese.

L’attuale situazione politica peruviana è infatti oltremodo rovente. L’ex Capo di Stato socialista Pedro Castillo, eletto alla presidenza nel luglio 2021, era rimasto per un anno e mezzo ostaggio del forte potere parlamentare del blocco conservatore, che fin da subito ha cercato di limitarne il raggio d’azione. Dopo una serie di gravi errori politici, tra cui una cattiva gestione dell’economia e vari rimpasti di governo atti a includere elementi centristi in linea con i precedenti governi, fino alla revoca del mandato del premier marxista Guido Bellido (protagonista di riforme innovative e di riappropriazione dei beni nazionali in possesso delle multinazionali straniere), lo scorso dicembre Castillo è stato deposto dal Congresso.

Nello specifico, il parlamento ha messo Castillo in stato d’accusa per cospirazione, corruzione e incapacità morale. Prima del voto finale, con una mossa molto infelice, l’allora Presidente aveva dichiarato di essere intenzionato a sciogliere il Congresso e dare vita a un governo di transizione (a questo proposito, si è parlato di un “autogolpe” presidenziale), accusando i suoi avversari di voler ignorare la volontà del popolo e “approfittare della situazione” per “prendere il potere”. Le forze armate e di sicurezza, la Corte costituzionale e i media hanno appoggiato pienamente la decisione del parlamento, preceduta dalle dimissioni numerosi ministri e autorità militari. Castillo è stato contestualmente arrestato e poi condannato a 18 mesi di carcere.

A subentrargli è stata la vicepresidente Dina Boluarte, che insediandosi ha affermato di voler creare un “governo di unità nazionale” in vista di una tregua politica. La scelta è stata osteggiata da migliaia di cittadini, che sono scesi in piazza per chiedere lo scioglimento del Congresso e immediate elezioni. La risposta delle autorità, con la dichiarazione dello stato di emergenza, è stata quella del pugno duro: nel giro di un mese e mezzo, negli scontri in piazza sono morte più di 60 persone e 500 sono rimaste ferite. Stando al contenuto di una serie di video circolati in rete, in alcuni casi le forze dell’ordine avrebbero letteralmente assassinato i manifestanti con colpi di arma da fuoco in pieno petto. A fine gennaio, i partiti della sinistra peruviana avevano avanzato una richiesta di impeachment contro Boluarte a causa di una “permanente incompetenza morale”. Ad oggi, sette ministri ed ex ministri del governo si trovano sotto inchiesta per la morte di alcune persone in occasione delle proteste.

Gli Stati Uniti, che hanno politicamente condannato l’operato di Castillo, hanno più volte confermato il loro appoggio al governo Boluarte. Ed ora avranno anche il permesso di entrare con esercito e mezzi militari nel territorio peruviano.

[di Stefano Baudino]

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