venerdì 22 Novembre 2024

“Vogliamo le tasse, ma anche diritti”: a Bologna l’assemblea delle lavoratrici del sesso

Venerdì 2 giugno, in occasione della Giornata internazionale del sex work, collettivi, associazioni e lavoratrici del sesso provenienti da ogni parte d’Italia si sono riuniti in congresso a Bologna, per discutere di decriminalizzazione e diritti della prostituzione. L’evento, suddiviso in due giornate – la seconda aperta al pubblico – ha toccato svariati macro temi, quelli cioè su cui lavoratrici – il 79,4% delle presenze in strada è costituito da donne – e altre persone del settore vorrebbero da tempo che la politica intervenisse in maniera decisa.

Si è parlato ad esempio di lavoro, tasse, salute, sicurezza personale, carcere e molto altro ancora. Tutti diritti e doveri che di norma spetterebbero a qualsiasi lavoratore, ma che nel settore fanno invece fatica a farsi largo, per diversi motivi. Il primo è collegato alla tendenza generale che il nostro ordinamento ha di ignorare il problema. Infatti, anche se in Italia il lavoro sessuale non è considerato un reato – sono invece illegali alcune pratiche collaterali che ne derivano, come lo sfruttamento – l’impianto normativo su cui regge il sistema che ci governa sembra piuttosto voler imboccare due direzioni: non considerarlo un lavoro e non considerarlo affatto.

Il problema di fondo è che il nostro Paese è ancora fortemente influenzato da uno stigma che avvolge tutta la sfera sessuale, che se ne parli come un impiego oppure no. Chi lavora con il sesso, per questo motivo, subisce costantemente il peso di una morale collettiva che giudica negativamente chi guadagna con il proprio corpo. Un’ideologia penetrata tanto nella vita cittadina quanto fra i palazzi di Governo, gli stessi che nel 1958 decisero di approvare la legge Merlin, quella che abolì le cosiddette ‘case chiuse’, obbligando il lavoro sessuale a spostarsi principalmente in strada. Una condizione che in un certo senso ha contribuito a rafforzare la discriminazione e quell’idea che chi lavora con il sesso ha qualcosa che non va. Tant’è che Pia Covre, figura storica dell’attivismo in difesa delle lavoratrici del sesso, l’ha definita «una legge obsoleta e criminogena», perché porta le lavoratrici ad essere considerate e trattate dalla giustizia e dalle forze dell’ordine come criminali anche se non lo sono – subendo a volte condanne per cui non sussisterebbe reato.

Il congresso di Bologna si è riunito anche con lo scopo di sfatare tutti quei falsi miti che rendono la vita di una persona sex worker un percorso ad ostacoli. Per citarne uno, «lavorare con il sesso non è sfruttamento: non è così, quella retorica, quella narrazione non è la nostra, non ci piace», ha commentato Porpora Marcasciano, consigliera comunale a Bologna, attivista per i diritti delle persone trans e a capo del MIT (Movimento identità trans). La stessa per cui quello che prevede di utilizzare il proprio corpo è un impiego che ha permesso a molte persone di «emanciparsi, autodeterminarsi e sfuggire da situazioni violente». Ma che, ciononostante, non è ancora riconosciuto come un lavoro a tutti gli effetti, e che quindi non prevede un reddito e altri diritti fondamentali. Una linea di pensione che, secondo Covre, fa più male che bene, visto che «chi pensa di proibire questo lavoro per combattere lo sfruttamento, pensa che non riconoscendo o non consentendo il lavoro quello stesso lavoro scompaia. E con esso, di conseguenza, anche lo sfruttamento. In realtà non è così, perché la condizione di non riconoscimento dei diritti mette qualsiasi lavoratore e lavoratrice in una condizione di maggiore sfruttabilità. Lo sfruttamento non si combatte rendendo le sex workers più vulnerabili e rendendo le già difficili condizioni di lavoro ancora più precarie».

[di Gloria Ferrari]

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2 Commenti

  1. Noi siamo l’UNICO Paese al mondo che ha una legge tragicomica (la Merlin) per cui prostituirti è legale (non lo sfruttamento ma una persona che decide liberamente di farlo) “basta che non si sappia” quindi siccome sei autorizzata/o a prostituirti ma io Stato non lo posso sapere NON TI TASSO. In linea con la “facciata” delle coppie in molti paesi dove tutti si fanno le corna ma tutti sono “casa e chiesa”. E, per chi non lo sapesse, molte prostitute prendono il Rdc perchè ufficialmente sono POVERE. Questa è l’Italia!!!

  2. Visto che si vuole dimostrare che è un “lavoro” o meglio una “professione”, è sufficiente la licenza media oppure bisogna adoperarsi per arrivare alla maturità e poi frequentare un Bachelor? Immagino che, come per ogni attività regolamentata, si debba possedere un foglio di carta attestante le proprie capacità…

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