La Camera dei Deputati ha approvato con 179 voti favorevoli e 126 contrari la conversione in legge del decreto “Pubblica amministrazione”, su cui l’esecutivo aveva posto la fiducia. Confermato anche l’emendamento presentato dalla maggioranza in Commissione Affari Costituzionali di Montecitorio. Con il tanto discusso blitz, il governo Meloni limiterà il controllo della Corte dei Conti sull’attuazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR), prorogando allo stesso tempo lo scudo erariale, lo strumento che «ha aperto uno spatium di impunità che va a vantaggio del funzionario infedele e di chiunque sperperi le risorse pubbliche», come dichiarato dall’Associazione Magistrati della Corte dei conti. Fattasi prendere la mano, nella notte tra il 31 maggio e il 1 giugno, la maggioranza ha proposto in extremis un ulteriore emendamento con cui modificare l’ordinamento della Difesa, salvo ritornare sui propri passi dopo qualche ora.
Il blitz sul decreto PA ha permesso al governo Meloni di limitare il cosiddetto controllo concomitante operato dalla Corte dei conti, l’organo di rilievo costituzionale, con funzioni di controllo e giurisdizionali, previsto dagli articoli 100 e 103 della Costituzione. In poche parole, l’organismo indipendente ha il compito di controllare come sono spesi i soldi pubblici, così da evitare frodi o sprechi. A tal proposito, “la Corte esercita il controllo preventivo di legittimità sugli atti del governo” o quello “successivo sulla gestione del bilancio dello Stato” (articolo 100 della Costituzione). La legge n. 15 del 4 marzo 2009 ha introdotto un terzo controllo, definito concomitante, sui «principali piani, programmi e progetti relativi agli interventi di sostegno e di rilancio dell’economia nazionale»: un’ipotesi in cui rientra pienamente il PNRR. In questi casi, la Corte dei Conti «può effettuare controlli su gestioni pubbliche statali in corso di svolgimento», notificando all’amministrazione competente eventuali irregolarità. È compito della PA individuare concretamente i dirigenti responsabili di tali irregolarità e l’adozione delle relative procedure.
Il governo Meloni ha voluto escludere tale controllo per i progetti relativi all’attuazione del PNRR, ritenendolo un’invasione di campo nonché causa di ritardi nei lavori. Una sorta di risposta a distanza al Rapporto sul coordinamento della finanza pubblica, all’interno del quale la Corte dei conti ha mostrato lo stato di attuazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza. Nei primi quattro mesi dell’anno sono stati mobilitati appena 1,1 miliardi di euro, a fronte di una programmazione annua da 32,7 miliardi. Sulla questione ritardi, il presidente della Corte dei Conti Guido Carlino ritiene invece che «il controllo concomitante in corso di gestione ha un valore propulsivo e tende ad accelerare i tempi dell’azione amministrativa». Insomma, uno strumento per rimettere sulla strada giusta (quella della spesa senza sprechi o frodi) i progetti, evitando stop alla conclusione dei lavori. Al riguardo è intervenuto anche il procuratore nazionale Antimafia Giovanni Melillo: bisogna impiegare al più presto le risorse del PNRR, ma è necessario «farlo bene, evitando che esse si disperdano nei mille rivoli degli abusi e della corruzione, o peggio, che finiscano nelle mani della criminalità mafiosa». Parole condivise dall’opposizione, che ha votato compatta contro la legge. Venuto meno il controllo concomitante sul PNRR, la Corte dei conti si affiderà alla valutazione periodica da sottoporre ogni sei mesi al Parlamento per operare un controllo base sull’attuazione del piano.
Con il blitz realizzato in commissione, il governo Meloni ha poi prorogato fino al 30 giugno 2024 il cosiddetto “scudo erariale”, «limitandosi a reiterare quanto fatto dai suoi predecessori», come dichiarato dal ministro per gli affari europei, le politiche di coesione e il PNRR Raffaele Fitto. Il riferimento dalle sfumature arendtiane è sia al governo Draghi, che durante l’esperienza a Palazzo Chigi ha a sua volta prorogato la misura fino al 30 giugno 2023, sia al Conte II, che ha introdotto lo scudo nel 2020 per limitare la responsabilità erariale dei dirigenti solo ai danni compiuti con dolo. Un elemento ampiamente discrezionale, che lascia spazio a frequenti casi di impunità per coloro che fanno un uso improprio delle risorse pubbliche.
“Non sono in gioco le funzioni della magistratura contabile ma la tutela dei cittadini. La conferma dello scudo erariale, in assenza del contesto di emergenza pandemica nel quale è nato, impedisce di perseguire i responsabili e di recuperare le risorse distratte, facendo sì che il danno resti a carico della collettività. Al contempo, l’abolizione di controlli in itinere, su attività specificamente volte al rilancio dell’economia, significa indebolire i presidi di legalità, regolarità e correttezza dell’azione amministrativa”, ha scritto l’Associazione dei magistrati della Corte dei conti al termine dell’assemblea straordinaria convocata ieri.
[di Salvatore Toscano]