Dal Brasile si è diffusa una protesta che ha prontamente valicato i confini nazionali, unendosi in un unico coro contrario al Marco Temporal, il disegno di legge (PL490) che mette in discussione i diritti delle popolazioni native sui territori ancestrali. La settimana scorsa, l’iniziativa ha incassato il sì della Camera dei Deputati brasiliana, con 283 voti a favore e soltanto 155 contrari, passando all’esame del Senato. Se l’iniziativa concludesse positivamente il suo iter, i popoli indigeni non in grado di dimostrare che al 5 ottobre 1988 (giorno in cui fu promulgata la Costituzione brasiliana) abitavano fisicamente sulle loro terre, perderebbero i propri diritti. Una sorta di via libera per violare e distruggere centinaia di territori ancestrali, spianando la strada ad altri utilizzi, come la progettazione industriale, tra cui la costruzione di miniere e pozzi petroliferi.
Survival International, ong impegnata nella difesa dei diritti dei popoli nativi, definisce il Marco Temporal «uno stratagemma escogitato a favore delle aziende». Una tesi rilanciata anche dai leader indigeni, secondo cui l’approvazione della legge alla Camera è «frutto della pressione esercitata dalla lobby dell’agribusiness». Se il PL490 venisse confermato in Senato, il presidente brasiliano Luiz Inácio Lula da Silva potrebbe ratificarlo o porre il veto, rimandandolo alle Camere. Saranno poi queste ultime a prendere una decisione finale sulla proposta, a prescindere dalla valutazione del presidente. È chiaro comunque che una presa di posizione netta da parte di Lula potrebbe quantomeno influenzare l’esito della votazione. Per questo motivo, citando le promesse fatte in campagna elettorale, manifestanti e associazioni hanno chiesto al presidente brasiliano di condannare il disegno di legge PL490.
Si tratterebbe dell’ennesimo braccio di ferro tra Congresso, ancora dominato da un ampio numero di politici anti-indigeni, e il governo, che negli ultimi mesi ha istituito nuove riserve indigene e firmato la protezione di alcune tribù incontattate. Un netto cambio di rotta rispetto al mandato di Jair Bolsonaro non esente però da critiche. L’accusa è di star realizzando misure sì necessarie ma in modo insufficiente, un comportamento forse figlio di un compromesso con i tanti alleati di Bolsonaro ancora al comando della maggior parte degli “Stati amazzonici”. Lo scorso maggio, Lula ha riconosciuto 6 territori come ufficialmente appartenenti alle comunità indigene, vietando qualsiasi attività mineraria o l’agricoltura e il disboscamento per fini commerciali. Una vittoria ridimensionata da diversi gruppi di attivisti locali, che hanno fatto notare come siano ancora 733 i territori ancestrali in attesa di riconoscimento, abitati in buona misura da tribù incontattate. Coloro che vivono in queste aree, così come i popoli indigeni delle comunità sfrattate dai propri territori prima del 2008, vedranno distrutta la loro antica casa se il PL490 verrà approvato.
Di pari passo all’iter parlamentare, la Corte Suprema sta valutando la costituzionalità della legge. Nel frattempo, sono state organizzate manifestazioni in tutto il Paese: a San Paolo, prima del voto della Camera, i rappresentanti delle popolazioni indigene hanno bloccato l’autostrada, affrontando la polizia con archi e frecce. Il cacique (capo tribù) brasiliano, Raoni Metuktire, ha presentato una petizione contro il Marco Temporal. In tutto il mondo, i popoli indigeni e i loro sostenitori hanno manifestato solidarietà nei confronti della comunità nativa brasiliana.
[di Salvatore Toscano]
Ma Lula non era quello che difendeva glio indio e le foreste?