La Russia ha deciso di aprire il porto di Vladivostok alla Cina, che così migliorerà il trasporto di merci all’interno del proprio territorio. Un “regalo” di certo non casuale, recapitato 163 anni dopo la cessione del porto dal Grande Qing all’Impero russo, nel bel mezzo della guerra in Ucraina. Una sorta di riconoscimento per la posizione di neutralità assunta da Pechino nel conflitto, che ha già comportato negli ultimi mesi l’estensione dell’alleanza sino-russa. Vladivostok, già sede della flotta russa del Pacifico, è il più grande porto orientale di Mosca, capace di ospitare un traffico annuale di un milione di container. A Vladivostok finisce poi il gasdotto dell’Estremo Oriente, infrastruttura protagonista di un recente accordo per la fornitura di gas naturale russo alla Cina. Se quella tra Pechino e Mosca era stata ribattezzata «amicizia senza limiti», l’accordo in questione dimostra come il concetto di amicizia in geopolitica sia sempre fuorviante: dietro un dare c’è sempre un avere, e Pechino ora mette a segno il primo risultato.
Sotto il nome di Haishenwai, Vladivostok era parte della Cina orientale durante la dinastia Qing. Nel 1860, con il trattato di Pechino, il territorio venne ceduto all’impero russo, lasciando diverse province cinesi (Heilongjiang e Jilin su tutte) senza sbocco sul mare, connesse ai centri commerciali vicini esclusivamente dal trasporto via terra. Dopo 163 anni, intrisi di rivendicazioni da parte di Pechino, Mosca ha deciso di aprire il porto di Vladivostok, permettendo una connessione più efficiente tra la Cina orientale e le regioni meridionali. Grazie a questa particolare concessione, il dragone potrà affacciarsi sul Mar del Giappone, rafforzando le catene di produzione e approvvigionamento con i Paesi limitrofi.
Nell’ambito delle relazioni internazionali, soprattutto sull’onda della globalizzazione, si è fatta sempre più strada l’espressione “Paesi amici” a discapito di una più veritiera “Paesi partner”. Se l’amicizia si basa infatti su una relazione disinteressata, le alleanze tra Stati comportano una visione omogenea su una o più questioni rilevanti, una stretta collaborazione commerciale o, in generale, il classico do ut des. Così, come variano gli interessi, le alleanze mutano. Dopo il superamento della crisi sino-sovietica, Mosca e Pechino hanno ripreso gradualmente le loro relazioni. L’annessione russa della Crimea nel 2014 ha segnato uno spartiacque: le sanzioni occidentali hanno spostato il baricentro del Cremlino sempre più a est, arrivando alla firma di storici accordi con la Cina, come l’intesa energetica dal valore di 400 miliardi di dollari. Negli ultimi anni si sono intensificate, inoltre, le esercitazioni militari congiunte; pochi giorni fa, il ministero della Difesa di Pechino ha invitato la controparte russa a un ciclo di esercitazioni denominato Northern-Joint 2023. Il commercio bilaterale tra i due Paesi si è attestato a 73,15 miliardi di dollari nei primi quattro mesi del 2023, con un aumento del 41,3% su base annua.
La guerra in Ucraina ha accelerato il processo di relazione tra Russia e Cina. Una partnership che porta beneficio a entrambi i soggetti, ma certamente non paritaria, data la forza decisamente maggiore dell’economia cinese. Alla luce di un peso via via crescente, è probabile che la Cina sarà in grado di influenzare la Russia nella presa di posizione su sfide future. L’alleanza tra i due Paesi fa leva su una certa convergenza strategica, in particolare rispetto ai temi del progetto di costruzione di un nuovo ordine mondiale multipolare, che superi l’annaspante ma tutt’altro che rassegnato potere globale statunitense.
[di Salvatore Toscano]