Un uomo, un prete, uno scrittore da ricordare. «Se fossi Papa brucerei il Vaticano affinché rifulga la luce di Cristo» disse, con la sua voce flebile ma ferma, durante la presentazione di un suo libro don Luisito Bianchi, nato a Vescovado in provincia di Cremona, nel 1927, morto a Melegnano (Milano) nel 2012. Un prete da ricordare non foss’altro per le scelte e il cammino: i suoi due punti fermi erano Cristo morto in croce e i giovani partigiani che andarono a combattere e morire per la libertà. Entrambi, ricordava don Luisito, lo fecero con gratuità. E la gratuità caratterizzò la sua vita: rifiutò lo stipendio del sostentamento del clero e, a un certo punto, anche le offerte. Visse da prete – fu infatti per anni cappellano dell’abbazia di Viboldone – ma si mantenne lavorando: operaio, inserviente d’ospedale, insegnante, traduttore. Furono in tanti a definire un capolavoro il suo libro più noto, La messa dell’uomo disarmato, che la casa editrice Sironi pubblicò nel 2003.
Fece anche dei “miracoli” Luisito. Nel 2007, a sua insaputa (altrimenti non sarebbe andato), all’abbazia di Viboldone organizzarono una festa per i suoi ottant’anni. C’erano le suore dell’abbazia e c’erano gli operai che avevano lavorato in fabbrica con lui, anni prima; e mentre gli operai cantavano “Addio Lugano bella”, le suore applaudirono. Lui, un po’ in disparte, ascoltava.
Anche “La Messa dell’uomo disarmato” fu un piccolo miracolo editoriale.
Don Luisito lo scrive negli anni 70. Lo intitola “Resistenza”. Alcuni amici, dopo averlo inviato a qualche editore, nel 1989 decidono per un’auto pubblicazione. Il libro va a ruba e nel 1991 viene ristampato. Nel 2002, l’editore Sironi si interessa al manoscritto («Fu tutto merito della editor Paola Borgonovo» dirà Luisito) e lo pubblica con il titolo La messa dell’uomo disarmato. Fu un successo (come si usa dire di pubblico e critica).
Piccolo ma importante particolare: i proventi delle vendite Luisito li destinò ad alcune missioni («Per vivere mi bastano i 600 euro di pensione»). Parla di spiritualità, di pace, di lotta e ideali partigiani e di amore per il mondo contadino, il romanzo corale La messa dell’uomo disarmato.
Storie e personaggi che s’intrecciano. Si comincia con Franco, che lascia il seminario per fare il contadino, di Dom Benedetto, il monaco disarmato che si unisce alla bande partigiane (chiedendosi: “Ha senso dire messa mentre si spara e si uccide?”) per arrivare a “Rondine” che dopo una vita di furti e carcere si avvicina ai partigiani e si dedica alla sepoltura di entrambe le parti… A chi lo accusava di aver idealizzato i partigiani rispondeva: «Mentre gli altri combattevano perché chiamati in servizi e pagati, i partigiani combattevano solo per scelta e per la libertà».
Insomma, sulla scia di don Milani va ricordato questo piccolo prete che oltre alla gratuità cristiana diceva cose forti, ma sempre sussurrando. Durante la presentazione di due suoi libri (La messa dell’uomo disarmato e Come un atomo sulla bilancia che racconta i suoi anni in fabbrica alla Montecatini di Spinetta Marengo, ad Alessandria) socchiudendo gli occhi disse: «Appena diventato prete e anche dopo sentivo il richiamo della bellezza femminile, ma sempre come prete il mio primo atto di gratuità fu di rinunciarci.»
Ma fu soprattutto un ribelle, don Luisito Bianchi. Distante dalla ricchezza e quindi dalle gerarchie ecclesiastiche. In un articolo intitolato Quella regola ignorata. Chi vive in condizioni di povertà ha diritto ad attingere ai beni ecclesiastici ricordò che ne I promessi sposi, il Manzoni si sofferma sulla figura del Cardinale Borromeo scrivendo: «Diceva, come tutti dicono, che le rendite ecclesiastiche sono patrimonio dei poveri». Quel “come tutti dicono” stava a significare che era una consuetudine acquisita.
La conclusione amara di don Luisito Bianchi fu: “Che ne è stato di tutto questo?”.
[di Remo Bassini]