Sei persone, tra dirigenti ed ex dirigenti dell’ex-Ilva, andranno a processo con l’accusa di omicidio colposo per la morte di un bambino di Taranto, Lorenzo Zaratta, deceduto nel 2014 per un tumore al cervello a soli 5 anni. Lo ha stabilito la Corte d’appello di Lecce, nella sua sezione distaccata di Taranto, che ha accolto il ricorso presentato dal sostituto procuratore Mariano Buccoliero e dai familiari del bimbo contro la sentenza di non luogo a procedere del gup Pompeo Carriere del 12 luglio 2022.
Se per il gup “permane un’insuperabile situazione di ragionevole dubbio circa l’effettiva sussistenza del nesso causale fra la presunta condotta ascritta agli imputati e il decesso del piccolo Lorenzo”, a cui fu diagnosticato l’astrocitoma a soli tre mesi dalla nascita, i pm sono convinti che non vada affrontato “il rapporto tra inquinamento ambientale e astrocitoma di Lorenzo”, bensì il nesso “tra sostanze cancerogene nel cervello di Lorenzo e tumore sviluppato proprio ove tali sostanze sono state trovate”. Secondo l’accusa, infatti, gli imputati avrebbero consentito “la dispersione di polveri e sostanze nocive provenienti dalle lavorazioni”, omettendo “l’adozione delle misure di prevenzione contro gli infortuni sul lavoro e malattie professionali”. Le loro condotte avrebbero così contribuito a provocare “una grave malattia neurologica al piccolo Lorenzo Zaratta, che assumeva le sostanze velenose durante il periodo in cui era allo stato fetale“. Sarà ora un processo a stabilire la validità dell’impianto accusatorio.
I soggetti alla sbarra sono l’ex direttore dello stabilimento di Taranto, Luigi Capogrosso; l’ex responsabile dell’area parchi minerali, Marco Andelmi; il capo dell’area cokerie Ivan Di Maggio; il responsabile dell’area altiforni Salvatore De Felice; i responsabili delle acciaierie Salvatore D’Alò e Giovanni Valentino. Non è stato invece presentato ricorso per altri due imputati, per i quali fu riconosciuto un errore nei capi d’imputazione.
Sempre davanti al Gup era stato assolto Angelo Cavallo, all’epoca dei fatti responsabile dell’area agglomerato. La procura, che aveva chiesto una pena di 2 anni e 4 mesi, ha appellato la decisione del giudice. L’impugnazione della sentenza sarà discussa davanti alla Corte d’Appello a ottobre, negli stessi giorni in cui il processo avrà inizio.
Lo scorso marzo, il Parlamento ha approvato il decreto legge Ilva, che consente lo stanziamento da parte dell’Agenzia nazionale per lo sviluppo – di proprietà del Ministero dell’Economia – di 680 milioni ad Acciaierie d’Italia (nome del nuovo impianto di Taranto) come anticipazione dell’aumento di capitale previsto per il 2024, con l’obiettivo di garantire la continuità della produzione dello stabilimento e di pagare i fornitori dell’energia, ovvero le aziende pubbliche Eni e Snam.
Pochi giorni prima, il pubblico ministero di Taranto aveva firmato l’avviso di chiusura delle indagini nei confronti di sei testimoni – un ex consulente della Procura, due dirigenti Ilva, l’ex vescovo di Taranto, la dipendente di una stazione di servizio e un giornalista-, i quali sono accusati di aver mentito o raccontato una verità parziale sul processo ‘Ambiente Svenduto’, aperto nel 2016 per le emissioni nocive causate dall’ex-Ilva.
[di Stefano Baudino]