Un paradosso linguistico attraente – il contrario di perdere è trovare o vincere? – ci permette di riflettere e di spalancare orizzonti che giochino sull’alternativa o sulla reciprocità di questi termini.
Di conseguenza, il perdente, lo sconfitto, che si sente frustrato dall’insuccesso, dovrebbe mettersi alla ricerca di qualcosa che è stato smarrito e che, una volta trovato, è capace di dare nuovo senso, di compensare almeno in parte quanto gli è accaduto.
La sconfitta potrebbe essere mitigata dal rinvenimento di un oggetto, di un pensiero, di un sentimento, di una nuova conoscenza, di un diverso atteggiamento.
Quindi è anche vero che chi lo ha sconfitto gli ha sottratto qualcosa, lo ha messo in uno stato di mancanza, non soltanto di perdita, fosse anche semplicemente la mancata vittoria. Chi è perdente non soltanto non ha vinto ma si trova in uno stato di privazione, come se avesse subito un furto oltre che la sconfitta.
Al contrario chi ha perduto qualcosa, ad esempio la pazienza, dovrebbe sentirsi sconfitto, travolto da qualcuno o da un certo evento, spostando l’attenzione su qualcosa che gli è sfuggito. Chi ha perso del tempo, invece, può provare un senso di sconfitta, come fosse stato superato, scavalcato, sopravanzato. Ma tutto ciò, in questo caso, gli moltiplicherebbe l’ansia.
Chi ha subito una perdita non soltanto deve lottare per recuperare, se è possibile, quel che gli è stato sottratto ma deve elaborare una sua particolare strategia di vittoria, trasformando la mancanza sopravvenuta in una occasione di ulteriori superamenti.
Insomma i perdenti hanno smarrito qualcosa, i vincenti a loro volta sono tali perché sul cammino hanno provato la sensazione di aver trovato, di aver recuperato. Nel sentimento della vittoria (e dunque sia del non-perdere sia del trovare), c’è sempre un oggetto acquisito che la rappresenta, diciamo il premio. Nella condizione del perdere è come se, a fronte di una sopraggiunta assenza, dovessimo ricostruire un movente, individuare uno o più ladri, a meno che poi non siamo stati noi stessi ad averci sottratto qualcosa, noi ad aver rinunciato.
Vi invito ad aggiungere valutazioni, idee personali su questo gioco linguistico. Ogni gioco linguistico, infatti, scriveva Ludwig Wittengstein, è una forma di vita che ci fa uscire dal determinismo degli usi soliti del linguaggio, dagli automatismi dei luoghi comuni e ci mette alla guida di meravigliosi e liberatori motori logici e immaginari.
[di Gian Paolo Caprettini – semiologo, critico televisivo, accademico]
Una gran bella cosa che da’ forza, coraggio e pace interiore è invece la “perdita” della paura della morte (o del potere…).
Grazie. Mi piace l’analisi esposta. È interessante lo studio del linguaggio, a volte illuminante!!