Sabato diciassette giugno, le dieci del mattino, Bardonecchia, traforo del Frejus: qui si conclude, per duecentocinquanta Valsusini, la trasferta in Francia. Cinque pullman fermati dall’operazione congiunta delle polizie italiana e francese, per impedire agli attivisti NO TAV della Valle di Susa di raggiungere i compagni francesi della Valle della Maurienne e di sfilare insieme contro il sistema che fa del saccheggio sociale e ambientale la fonte del proprio profitto.
Due valli accomunate da un progetto devastante, un tunnel ferroviario di cinquantasette chilometri, costituito da due canne, per complessivi centoquattordici chilometri scavati nel massiccio d’Ambin. È questo un complesso montano che custodisce e alimenta le falde acquifere di una gran parte delle Alpi Cozie, le vene da cui si disseta un vastissimo territorio fatto di foreste, centri abitati, coltivi, a rischio di desertificazione se esse verranno tagliate.
Nella manifestazione di oggi si uniscono luoghi ed età diversi, nel segno di una ricomposizione che fa paura al potere perché ne mette in discussione l’arrogante onnipotenza.
Per questo vorremmo essere là insieme a quella moltitudine allegra e determinata, su quel grande prato che da giorni è diventato un presidio colorato e polifonico, lungo quelle strade che tra poco, nonostante il divieto prefettizio, saranno percorse da un corteo variopinto di tutte le gradazioni del blu, dell’azzurro, del verde-acqua a ricordare che l’acqua è vita, e senz’acqua anche questa primavera che fiorisce intorno e canta nei torrenti sarà per la terra assetata un ricordo lontano.
Dal lungo serpentone che, per avviarsi, attende il nostro arrivo, ci giungono sui social voci e immagini. Invece noi siamo qui, chiusi tra le pareti naturali di roccia e quelle artificiali della frontiera, in questo piazzale di asfalto su cui il mezzogiorno si fa torrido. Intorno, poliziotti e digos (varie auto di digossini ci hanno seguiti fin dalla partenza); ai lati, nei due sensi di marcia, il traffico prefestivo: auto, qualche TIR, trasporti di animali vivi verso l’Italia (ah la sofferenza delle carni stipate, delle narici rosee che cercano aria attraverso le feritoie…).
La Gendarmerie francese ci ha ritirato i documenti: “controllo Schengen” spiegano.
Passano le ore. Andiamo a chiedere spiegazioni. A nostro supporto sono arrivati un deputato di La France Insoumise, un avvocato, una traduttrice. I poliziotti italiani e francesi si rimpallano le responsabilità in un ping pong a dir poco surreale.
È ormai pomeriggio avanzato quando, dai telefonini, ci giunge la notizia che la manifestazione è partita: almeno cinquemila persone in marcia verso l’autostrada; cartelli, striscioni, canzoni….e un imponente schieramento di agenti in assetto antisommossa. Poi, improvvisamente, cariche a freddo, manifestanti feriti, liquido urticante spruzzato in faccia a chi è caduto, granate lanciate addosso a quanti cercano di mettersi al riparo e lacrimogeni a non finire.
In noi cresce la rabbia insieme al senso di frustrazione.
Ad un certo punto arriva una squadretta in assetto antisommossa e contemporaneamente ci vengono riconsegnati i documenti d’identità… Non a tutti, però: cinquanta di noi, convocati nell’ufficio della Gendarmerie, ricevono, su ordine del ministro dell’interno, “l’interdizione all’ingresso e al soggiorno sul territorio francese”, chi per oggi e chi per cinque giorni, dunque fino alla fine del campeggio.
Le motivazioni? Le trascrivo pari pari dal documento consegnato a me: “….potrebbe partecipare alla manifestazione Soulevement de la terre Tunnel Lyon/Turin e intervenire ad integrare un gruppo avente vocazione a fomentare un’azione violenta. Considerando che per questi motivi e in questo contesto, la sua presenza costituirebbe, in ragione del suo comportamento personale, dal punto di vista dell’ordine e della sicurezza pubblica, una minaccia reale, presente e sufficientemente grave per un interesse fondamentale della società, le viene interdetto l’ingresso ecc. ecc….”.
La sera scende dolcissima anche in quest’angolo di mondo, si fa ombra che invade le pareti rocciose, accarezza le pietraie.
Con una breve assemblea si decide che, come sempre, “si parte e si torna insieme”, dunque riprendiamo tutti la via del ritorno.
La meta ora è diventata il cantiere di San Didero: là, a suon di battiture contro le reti che proteggono il fortino, esprimeremo la nostra fedeltà alla lotta collettiva. Il luogo, in mezzo ad una campagna resa lussureggiante dalla pioggia, appare più che mai squallido, un deserto di cemento e di spettrali costruzioni.
Ad accoglierci, come sempre, getti di idranti e fumo di lacrimogeni. Ma il tanfo bruciante del veleno, che a ondate penetra in gola e toglie il respiro, non riesce a cancellare l’odore buono dell’estate che sale dalle stoppie del grano appena mietuto e sa di terra, di pane, di vacanze.
Al bordo del campo scorgo un fascio di spighe dimenticate dalla mietitrebbia. Le raccolgo in un mannello e ritrovo mia madre e me bambina, intente a spigolare, in quella campagna della mia infanzia che mi pareva immensa, meravigliosa promessa di scoperte e di avventura.
Ora la mia famiglia di lotta è questa: queste donne e questi uomini, questi ragazzi testardi e allegri, infinitamente generosi. Con loro e per loro, che la terra insorga!
[di Nicoletta Dosio – Oltre ad essere da sempre attiva in numerose lotte
sociali e politiche sul territorio piemontese, Nicoletta Dosio è uno dei volti storici del Movimento No TAV. Condannata ai domiciliari per aver partecipato a una manifestazione pacifica del Movimento, ma rifiutandosi di sottostarvi e divenire così “carceriera di sé stessa”, Nicoletta è stata imputata di almeno 130 evasioni, che le sono valse la condanna a oltre un anno di carcere presso il penitenziario di Torino]