Il Consiglio Agricoltura e Pesca, che riunisce tutti i Ministri del settore dei 27 Stati membri dell’Unione europea, ha deciso di adottare il pacchetto per la pesca sostenibile proposto dalla Commissione europea che, tra le altre misure, prevede lo stop definitivo alla pesca a strascico a partire dal 2030. Il testo è stato approvato a larga maggioranza – 26 favorevoli su 27: ad aver votato contro è stata solo l’Italia. È stato lo stesso Francesco Lollobrigida, Ministro dell’Agricoltura italiano, a spiegare le motivazioni che l’hanno portato a votare contro: «Abbiamo il dovere di tutelare un settore strategico per la nostra nazione». In una decisione mossa da ragioni industriali, che però – come vedremo – va a discapito delle enormi criticità ambientali della pratica, che da decenni crea problemi ingenti ai fondali marini e alla biodiversità.
Secondo gli ‘addetti ai lavori’, porre fine alla pesca a strascico significherebbe mettere a rischio l’occupazione di circa 7mila persone e gli introiti del 20% della flotta peschereccia italiana, tagliando del 50% i ricavi ottenuti dal mare. Altrettanto allarmistico è il pensiero di Fedagripesca, per cui mentre l’Europa ‘blinda’ i suoi fondali per i pescherecci del continente, le navi estere (come quelle nordafricane) continueranno a muoversi liberamente – e a vendere il frutto della pesca a strascico nei mercati italiani.
Motivi per cui, secondo Lollobrigida, l’Italia ha il diritto di chiedere «che vengano valutate le ripercussioni socio-economiche ed occupazionali delle misure e che venga affrontato il tema dell’illegalità», ma della questione ambientale, invece, nemmeno l’ombra.
La pesca a strascico, ampiamente diffusa in tutto il mondo, prevede che una grande rete venga trascinata sul fondo del mare, così da catturare quanti più pesci possibili in un colpo solo. Il problema principale è che il ‘sacco’, soprattutto a basse profondità e a prescindere dalla sua dimensione o dalla ampiezza delle maglie, raccoglie tutto ciò che trova: strappa indistintamente via dall’ecosistema marino anche alghe, specie non commerciabili, animali ancora troppo piccoli per essere raccolti e numerosi organismi essenziali per l’equilibrio della vita in mare. Tutto quello che si incaglia nella rete, ma che non è di interesse per il mercato – capita che rimangano intrappolate anche delle tartarughe, ad esempio, e che soffochino nella calca con gli altri pesci – finisce per essere ributtato in mare. Spesso, però, accade quando ormai è troppo tardi.
Com’è intuibile, oltre alle specie viventi, lo ‘stascico’ non risparmi neppure i fondali, in alcuni casi devastati a tal punto da non riuscire più a riprendersi. E ogni qualvolta che una certa parte di questi viene completamente distrutta, i pescherecci si spostano sempre più in profondità, perpetrando un circolo che potenzialmente potrebbe durare fino al totale annientamento dell’ecosistema e della biodiversità.
Fino ad ora nelle acque del Mediterraneo, che rispetta la legislazione dell’Ue, la pesca a strascico è stata vietata a meno di tre miglia nautiche dalla costa, o ad un profondità compresa tra zero e 50 metri, e oltre gli 800 metri. Ma eludere i controlli è piuttosto semplice: spesso questi ultimi sono affidati alle autorità locali, complici in certi casi dello strazio che avviene nei mari. I dati dicono che la pesca massiccia con reti a strascico e con altri metodi non sostenibili pone il 75% delle specie ittiche in pericolo poiché fortemente sovra-sfruttate, soprattutto in un paese, come l’Italia, che conta circa 7.500 chilometri di coste.
Ma, come sottolineato più volte da gruppi di ambientalisti come il WWF, ben vengano le misure adottate dall’UE, ma il problema «è l’attuazione e il rispetto della legge, non la progettazione».
[di Gloria Ferrari]
Non mi intendo di pesca.
Così a occhio mi sembra che lo scrascico non sia una grande idea.
Chissà, forse nel breve sarà un danno per i pescatori, ma non è che potrebbe diventare un vantaggio se pesci e crostacei possono riprodursi in maggiore tranquillità.
Quello che colpisce è l’assenza di informaizoni oggettive che vedano il mare come una risorsa da utilizzare al meglio e non alla giornata.