sabato 21 Dicembre 2024

La Cassazione conferma: in Emilia esiste una struttura di ‘ndrangheta autonoma

A Brescello, il paese di Peppone e Don Camillo in provincia di Reggio-Emilia, la ‘ndrangheta dettava legge. E lo faceva, sotto l’egida della famiglia Grande Aracri, come struttura autonoma dalla Calabria, potendo contare su importanti radicamenti in tutta la provincia reggiana. Lo ha stabilito la Corte di Cassazione, chiudendo il processo “Grimilde” e confermando, tra le altre, anche la condanna ad oltre 12 anni di carcere per Giuseppe Caruso (Fdi), ex presidente del Consiglio comunale di Piacenza e funzionario delle Dogane, finito in manette nel 2019.

Il bilancio della pronuncia della Cassazione, che ha riconosciuto la bontà dell’impianto accusatorio del procedimento contro la ‘ndrangheta in Emilia-Romagna e ha impresso il primo marchio sul procedimento di rito abbreviato nato dall’inchiesta, è impietoso per gli ‘ndranghetisti coinvolti, che si erano installati in pianta stabile nella regione. Diciotto condanne sono divenute definitive, mentre sei imputati dovranno subire un nuovo processo d’Appello. Coordinata dalla Direzione distrettuale antimafia di Bologna, “Grimilde” era nata da un’operazione effettuata il 25 giugno 2019, con 16 arresti eseguiti dalla Polizia ai danni degli uomini della cellula dei Grande Aracri, attiva nei territori di Brescello, Parma e Piacenza.

Per il 43enne Salvatore Grande Aracri – detto ‘Calamaro’ -, nipote del boss di Cutro Nicolino Grande Aracri, i giudici hanno confermato l’accusa di associazione mafiosa. Aveva preso 20 anni in primo grado, poi in Appello la pena era stata alleggerita a 14 anni e 4 mesi di reclusione. Accogliendo il ricorso della Procura generale riguardante tre imputazioni, per lui la Cassazione ha disposto un nuovo giudizio di secondo grado. La stessa sorte toccherà ai fratelli Antonio e Cesare Muto di Gualtieri (Reggio Emilia), che nell’ottobre del 2022 avevano subito un maxi-sequestro da oltre 10 milioni di euro. Il padre e il fratello di Salvatore Grande Aracri, Francesco e Paolo, sono alla sbarra nel rito ordinario di “Grimilde”: 6 mesi fa si sono visti comminare, rispettivamente, 19 anni e sei mesi e 12 anni di carcere

Un capitolo importante del processo è quello riferito alla posizione dell’ex presidente del consiglio comunale di Piacenza ed ex funzionario dell’Agenzia delle Dogane, Giuseppe Caruso, che si è visto confermare una pena a 12 anni e 2 mesi di galera: 8 anni e 2 mesi per mafia – è stata ufficialmente attestata la sua appartenenza alla cosca dei Grande Aracri -, più 4 anni per un’ulteriore truffa all’Agea. L’uomo sarà inoltre tenuto a risarcire il comune di Piacenza con un milione di euro. Ai tempi, Caruso era membro di Fratelli D’Italia, ma il partito provvide subito ad espellerlo. Il difensore di Giuseppe Caruso, l’avvocato Luca Cianferoni, si è detto amareggiato per la sentenza, affermando che dopo il deposito delle motivazioni valuterà un ricorso alla Corte europea. Nel medesimo processo è stato condannato anche suo fratello, Albino Caruso, che dovrà scontare sei anni e dieci mesi di carcere per associazione mafiosa.

Con “Grimilde” si perviene alla piena conferma della pervasività con cui la ‘ndrangheta si è insediata nel contesto politico, economico e sociale dell’Emilia-Romagna, già descritta in maniera perentoria negli scorsi anni dalle risultanze giudiziarie del Maxiprocesso Aemilia, in cui piovvero ingenti condanne e si comprovò l’“articolato e differenziato programma associativo” di un’organizzazione dotata di propri uomini e mezzi, autonoma rispetto alla “cosca madre” calabrese.

Soddisfatta la procuratrice generale reggente di Bologna, Lucia Musti, secondo cui «giova evidenziare che, ancora una volta, con sentenza definitiva, è stata ribadita, con la conferma del delitto di associazione di stampo mafioso, l’esistenza e l’operatività nel Distretto del Emilia-Romagna di una struttura autonoma di ‘ndrangheta, facente capo alla famiglia Grande Aracri di Brescello» e che, «tra gli esponenti del sodalizio ‘ndranghetistico emiliano è stato riconosciuto Giuseppe Caruso, ex funzionario dell’Agenzia delle Dogane di Piacenza ed ex presidente del Consiglio comunale di Piacenza». Musti ha aggiunto che «è stato riconosciuto un complesso reato di truffa con ingente danno nei confronti dello Stato, il cosiddetto affare ‘Oppido’, corale espressione della consorteria mafiosa, nonché condotte di caporalato, poste in essere in Italia e all’estero». Ora gli occhi sono puntati sul rito ordinario, per il completamento del complesso puzzle processuale.

[di Stefano Baudino]

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