Una legge utile a poter affermare di aver fatto qualcosa, ma che di fatto continuerà a negare il diritto di voto a quasi cinque milioni di italiani durante l’appuntamento elettorale più atteso, quello delle elezioni politiche. Ieri 4 luglio, infatti, la Camera dei Deputati ha approvato la legge delega “in materia di esercizio del diritto di voto per i fuori sede”. In caso di conferma da parte del Senato, il governo avrà a disposizione 18 mesi per formulare uno o più decreti legislativi. Ma la maggioranza ha bocciato la proposta di estendere il voto ai fuorisede anche alle elezioni politiche, una decisione la cui logica andrà spiegata. Con la nuova legge, quindi, un siciliano che studia o lavora a Milano (o viceversa), potrà votare nella città nella quale vive per le elezioni europee o per i referendum, ma continuerà a dover fare oltre mille chilometri per tornare nella città di residenza se vorrà votare per la composizione del Parlamento italiano. Quella dei fuorisede è una condizione che interessa circa 4,9 milioni di elettori, oltre il 10% del corpo elettorale complessivo.
Il muro eretto dalla maggioranza a Montecitorio ha fatto discutere sia per l’incoerenza nei confronti di promesse più o meno recenti sia per l’urgenza del tema, che così “disciplinato” non rispetta le disposizioni della Costituzione, in particolare gli articoli 48 e 3. Quest’ultimo cita uno dei cardini dell’ordinamento italiano: il concetto di uguaglianza sostanziale, non rispettata al momento del voto. Sono infatti 4,9 milioni gli italiani fuori sede che per esercitare un proprio diritto devono affrontare una spesa in più (parzialmente rimborsata) rispetto ai connazionali che studiano o lavorano nei pressi del comune di residenza. A ciò si aggiunge l’incongruenza con il trattamento riservato agli italiani all’estero, come evidenziato in Aula da Filippo Zaratti di Sinistra Italiana: «Non si capisce perché il voto per corrispondenza sia possibile per chi vive a Buenos Aires e a Montevideo ma non per chi vive a Milano».
La questione del voto dei fuori sede rappresenta uno degli elefanti nella stanza della Repubblica italiana, sin dalla sua nascita nel 1946. In vista delle elezioni dello scorso settembre ne ricordavamo l’importanza e l’urgenza, dal momento che gli elettori fuori sede in Italia sono 4,9 milioni, circa tre volte la popolazione di Malta e Cipro messi insieme, gli unici due Paesi europei che – oltre a Roma – non consentono il voto al di fuori del comune di residenza. La legge approvata ieri dalla Camera, che delega il governo a creare delle norme sulla materia (i cosiddetti decreti legislativi), non dovrebbe essere stravolta in Senato, il quale si esprimerà nei prossimi giorni. Così, entro 18 mesi l’Italia dovrebbe avere la propria legge sui fuori sede, tutelandoli a metà. Vista la mancata copertura alle elezioni politiche, la prima applicazione della norma dovrebbe avvenire nel 2029, in occasione del rinnovo del Parlamento europeo.
[di Salvatore Toscano]