lunedì 4 Novembre 2024

La ricerca conferma: coltivare legami e socialità allunga la vita

Isolarsi socialmente può aumentare il rischio di incorrere in morte prematura. Lo stabilisce un nuovo studio pubblicato sulla rivista Nature, che ha raccolto e analizzato le informazioni contenute in novanta ricerche precedenti, messe in circolo dal 1986 al 2022. Dalla meta-analisi è emerso chiaramente che le persone che sperimentano l’isolamento sociale – che per la scienza si verifica quando qualcuno ha un’oggettiva mancanza di contatto con altre persone – hanno un rischio maggiore del 32% di morire prematuramente per una causa qualsiasi rispetto agli altri. Detto in termini costruttivi: chi coltiva i rapporti interpersonali, mantenendo saldi legami sociali, amicali e familiari ha il 68% di probabilità di avere una vita più lunga.

L’obiettivo dei ricercatori, che hanno esaminato i legami tra solitudine, isolamento sociale e decesso precoce tra più di 2 milioni di adulti, è stato prima di tutto quello di mettere ordine: negli anni c’erano stati molteplici studi volti ad analizzare la relazione tra relazioni sociali e aspettativa di vita, ma alcuni avevano generato risultati controversi o contrastanti, probabilmente perché di volta in volta la ricerca si è sempre concentra solo su un gruppo ristretto di individui. I partecipanti che invece hanno riferito di sentirsi soli – la ricerca dice che la solitudine si riferisce al disagio soggettivo derivante da una discrepanza percepita tra le relazioni sociali desiderate e quelle effettive – hanno il 14% in più di probabilità di morire prima delle altre persone che non provano tale sentimento.

«Le persone trascorrono sempre più tempo in isolamento eppure non lo vediamo come un pericolo, soprattutto se lo si fa per scelta. Le persone presumono che vada bene e che possa anche essere un bene per noi isolarci se non ci sentiamo soli», ha commentato alla CNN Holt-Lunstad, docente di psicologia e neuroscienze alla Brigham Young University, nello Utah, non coinvolta nello studio. «Eppure questi dati confermano e ampliano quelli precedenti, certificando il legame tra morte e isolamento sociale».

Ma cosa li incatena assieme? Secondo Turhan Canli, professore di neuroscienze integrative presso il dipartimento di psicologia della Stony Brook University di New York, «tutti noi possiamo sentirci soli di tanto in tanto, ma quando quella sensazione è permanente, può agire come una forma di stress cronico. A quel punto gli ormoni dello stress influenzano negativamente il corpo». Ma è solo una delle possibili spiegazioni.

Più in generale, i ricercatori si sono accorti che esistono quattro aspetti che potenzialmente collegano l’isolamento sociale, la solitudine al rischio di morte. La prima, come evidenziato da Canli, è che in situazioni come quelle prese in considerazione nello studio l’organismo si trova ad avere a che fare con livelli alterati di cortisolo – l’ormone simbolo dello stress prodotto su impulso del cervello -, la cui presenza influenza i livelli di glucosio, il metabolismo, la risposta infiammatoria, il sistema riproduttivo e il sistema cardiovascolare dell’individuo. La seconda ha a che fare con la salute mentale. Gli esperti sostengono che un prolungato isolamento, soprattutto in età avanzata, possa portare a depressione e declino cognitivo e che – terza causa – stare a lungo da soli aumenti il rischio di perseguire comportamenti dannosi come fumare, bere alcolici, mangiare male e fare poca attività fisica. Inoltre è stato riscontrato – quarta causa – che chi ha pochi contatti con il mondo esterno (o nessuno) ha meno probabilità di sottoporsi a visite mediche di routine perché, come ha detto Canli, «non c’è nessuno che lo ‘controlla’ o si accorge di qualcosa che non va».

A vivere in queste condizioni – e quindi ad essere a rischio – sono molte più persone di quante possiamo immaginarne. Tant’è che Vivek Murthy, il massimo funzionario federale ad occuparsi di questioni di salute pubblica negli Stati Uniti, ha dichiarato che nel suo Paese, ad esempio, è in corso «una vera e propria epidemia di solitudine», che ogni anno costa allo Stato miliardi di dollari . «Ormai sappiamo che la solitudine è un sentimento comune che molte persone provano. È come la fame o la sete. È una sensazione che il corpo ci invia quando manca qualcosa di cui abbiamo bisogno per sopravvivere». Un sentimento che la pandemia da Covid e il successivo lockdown hanno portato all’esasperazione. «Il virus ha gettato benzina su un fuoco che stava già bruciando. Ora più che mai è urgente che le istituzioni capiscano quanto profonda sia la minaccia alla salute pubblica rappresentata dalla solitudine e dall’isolamento».

[di Gloria Ferrari]

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