“Flatlandia” di Erwin A. Abbott (1884) è un celebre, curioso romanzo. Nel mondo popolato di figure geometriche piane vivono i quadrati che, un giorno, incontrandosi con una abitante della Spacelandia, la sfera, entrano in crisi al confronto con una logica e una fisica differenti da quelle loro proprie. Ma anche la sfera mostra i suoi limiti rifiutandosi di accettare l’ipotesi dell’esistenza di un mondo ad ancora più dimensioni.
Il tema, di una utopia metafisica della pluralità dei mondi riprende a modo suo, esattamente trecento anni dopo, i dialoghi “Dell’universo, infinito e mondi” di Giordano Bruno ma anche una tradizione più antica e poi i suoi sèguiti settecenteschi che razionalmente e fantasticamente ammettono l’esistenza di più mondi, anche migliori del nostro, come argomentava Giordano Bruno.
Ma il primo passo per entrare in una cosmologia multidimensionale è appunto il passo stesso, o meglio il gradino che, nella lingua latina venivano espressi dallo stesso termine, ‘gradus’. Il gradino, questa minima ascensione, così difficile per chi soffra di dolori articolari, così elementare per chi effettui una marcia in salita, ha dunque in sé un potenziale metafisico.
Ho una grande ammirazione per un piccolo libro di Erling Kagge, alpinista norvegese. Nelle pagine del suo “Camminare. Un gesto sovversivo“, edito da Einaudi, egli mostra la compenetrazione indisgiungibile tra dimensione materiale e spirituale che è insita nell’atto del camminare.
Parlando di un suo collega che si muove con la sedia a rotelle, racconta del suo apprendistato e del suo camminare accanto a lui: “Solo al momento di attraversare la rotonda ci siamo ricordati dei suoi limiti, che si erano materializzati in un bordo di marciapiede troppo alto e un conducente di autobus molto ligio alla tabella oraria”.
Il gradino, un solo gradino che interrompa la linearità di un percorso, funzionando da ostacolo, è come un nuovo pensiero che si affaccia alla mente, richiede una decisione estemporanea, da bricolage della vita, un espediente che ci permetta di andare oltre. Per chi si muove normalmente basta azionare il sistema articolare e muscolare, per chi si trova su una sedia a rotelle si tratterà di escogitare qualcosa o di farsi aiutare.
Innumerevoli sono sul suo percorso gli ostacoli e così quella strada, quel sentiero diventa metafora della vita e di come la trascuratezza degli altri crei difficoltà ulteriori a chi già ne è provvisto.
Nel gradino dunque si nasconde una filosofia della relatività, del punto di vista, una concezione della discontinuità, cioè del ragionamento induttivo, dello spirito di adattamento e di una visione aperta del mondo, più imprevedibile che inevitabile.
Ma si presenta anche la limitatezza di una civiltà che pur si riempie la bocca di parole come design, ergonomia, solidarietà, ecologia mancando alle prove pratiche di una progettazione davvero civile.
Purtuttavia mi sento di elogiare, a nome di tutti, lo scalino, il gradino, il marciapiede come facenti parte di quell’andare che incarna il nostro esserci, che marca come una punteggiatura la sintassi del tempo. “Per gradus humilitatis“, diceva san Benedetto, umili mediante passi sulla terra, sull’humus che “ci ha reso possibile”, annota Kagge, “diventare quello che siamo”.
[di Gian Paolo Caprettini – semiologo, critico televisivo, accademico]