domenica 22 Dicembre 2024

Italia condannata per il caso Carlo Gilardi, l’anziano ‘protetto’ contro la sua volontà

La Corte europea dei Diritti dell’Uomo ha condannato l’Italia per la violazione dell’articolo 8, inerente il diritto al rispetto della vita privata, sul caso di Carlo Gilardi, l’ex professore 92enne che si trova rinchiuso nella Rsa Airoldi e Muzzi di Lecco dall’ottobre del 2020. L’anziano era stato ristretto nel centro per anziani contro la sua volontà, nonostante fosse capace di decidere per se stesso. Il 20 settembre 2021 il cugino di Carlo, Augusto Calvi, aveva presentato ricorso alla Cedu. Che oggi gli ha dato ragione.

Carlo Gilardi è nato ad Airuno, in provincia di Lecco, nel 1930. Conosciuto per la sua grande cultura e generosità – che lo ha portato anche ad elargire donazioni di grande rilievo a persone ed enti -, ha sempre vissuto volontariamente in povertà, anche dopo aver ottenuto, nel 2017, un’ingente eredità in seguito alla morte di una delle sue sorelle. Il 27 ottobre 2020, l’anziano era stato prelevato dalla sua amata abitazione di Airuno e portato nel reparto psichiatrico di un centro ospedaliero, per poi essere ristretto in un ospizio. La sua amministratrice di sostegno, Elena Barra, ha sostenuto di aver attuato queste misure con l’obiettivo di proteggere Carlo da persone che volevano approfittare dei suoi soldi e della sua generosità, affermando di aver agito nell’ambito di un provvedimento del giudice tutelare e aggiungendo che l’anziano non è stato sottoposto a «nessun Tso (trattamento sanitario obbligatorio)».

Entrato nella Rsa senza che i parenti e l’avvocato ne fossero al corrente, Carlo ha iniziato uno sciopero della fame, protestando veementemente contro un atto che giudicava arbitrario. «Io voglio la mia libertà che mi avete sottratto» lo si sente gridare a ripetizione in una registrazione effettuata all’interno dell’ospizio. Tale situazione avrebbe dovuto essere solo temporanea, ma si è trasformata per l’anziano in una sorta di “ergastolo bianco”. A distanza di tre anni, Gilardi si trova ancora in isolamento sociale all’interno dell’Rsa: da quando vi ha fatto ingresso, non ha più potuto mettere piede a casa propria e solo un paio di volte gli è stato permesso di tornare in paese. In alcune lettere, scritte poco prima di essere portato nella struttura, Carlo aveva denunciato la paura che qualcuno lo volesse chiudere in un ospizio al fine di gestire liberamente le sue risorse economiche, esprimendo anche la volontà di rendere pubblici i dettagli del suo caso. Gilardi aveva anche denunciato l’ex amministratrice di sostegno, Adriana Lanfranconi, che secondo l’uomo aveva bonificato 40mila euro dal suo conto corrente a una persona a lui sconosciuta.

Nella sentenza, la Cedu rileva che Carlo Gilardi “si è trovato posto sotto la completa dipendenza del suo amministratore in quasi tutti gli ambiti e senza limiti di durata” e che “le autorità hanno, in pratica, abusato dell’elasticità dell’amministrazione di sostegno per perseguire le finalità che la legge italiana assegna, con dei rigorosi limiti, al Tso, la cui disciplina legislativa è stata dunque elusa mediante un ricorso abusivo all’amministrazione di sostegno”. I giudici evidenziano come “negli ultimi tre anni non sembra essere stata prevista alcuna misura finalizzata al rientro dell’interessato presso la propria abitazione, sebbene l’affidamento fosse stato deciso in via provvisoria” e nonostante Gilardi “non sia stato dichiarato incapace” e “non sia stato oggetto di alcun divieto, avendo le perizie indicato, al contrario, una buona capacità di socializzazione”.

I giudici di Strasburgo hanno inoltre sottolineato che “un rigoroso regime di isolamento è stato deciso dall’amministratore di sostegno anche se Gilardi chiedeva di poter tornare a casa” e che l’uomo “è stato così privato, salvo poche eccezioni, di ogni contatto con l’esterno e ogni richiesta di colloquio telefonico o di visita dava luogo a filtraggio da parte dell’amministratore di sostegno o del giudice tutelare”. Secondo la Corte, tale filtraggio “è stato posto in essere non appena egli è arrivato in stabilimento” e, successivamente, “il giudice tutelare si è basato esclusivamente sulle segnalazioni presentate dall’amministratore di sostegno, non ritenendo di dover sentire Carlo Gilardo, e ha rifiutato le richieste di contatto presentate dal sig. Calvi, unendosi al parere negativo dell’amministratore”. La Corte ha concluso che, “se l’ingerenza perseguiva l’obiettivo legittimo di proteggere il benessere in senso lato” di Gilardi, essa “non era tuttavia, rispetto alla gamma di misure che le autorità potevano adottare, né proporzionata né adatta alla sua situazione individuale”.

[di Stefano Baudino]

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