Sei lavoratori, attivisti del sindacato di base USB, sono stati condannati a un mese e 20 giorni di carcere per essersi resi “colpevoli di esercitare violenza privata” durante uno sciopero svoltosi nel 2016 davanti ai cancelli dell’azienda Capaldo Spa di Monocalzati (Avellino) per denunciare il mancato rispetto del contratto di lavoro. I lavoratori avevano organizzato un picchetto, ovvero uno degli strumenti più classici della lotta operaia, che consiste nell’impedire l’apertura dei cancelli dell’azienda e l’entrata e l’uscita dei mezzi. “È in atto da anni un completo capovolgimento del modo di interpretare i conflitti sul lavoro. All’idea che la legislazione sociale dovesse servire a bilanciare un’oggettiva predominanza del padrone nei rapporti di forza che si danno sul mercato, è stata sostituita una lettura che vede datore di lavoro e dipendente come se fossero normali contraenti in condizioni di equilibrio delle forze. Da qui deriva poi l’idea che qualsiasi atto collettivo esercitato dai lavoratori per rivendicare il rispetto dei propri diritti finisca per essere interpretato come una sorta di estorsione, quindi un atto violento contro la “sacralità” della proprietà privata. Per ribaltare questa lettura distorta e intrisa di odio di classe serve un risveglio della coscienza democratica del Paese. Dal mondo del diritto innanzitutto e da quello della politica. Dal mondo dell’informazione a quello della cultura. Prima che sia troppo tardi”: questo è il messaggio lanciato dai lavoratori in un comunicato.
i dimostranti avevano impedito a tredici mezzi pesanti di fare ingresso all’interno dello stabilimento di Manocalzati per lo scarico e il carico di merce. Secondo i giudici, i sindacalisti condannati avrebbero anche rivolto minacce ai camionisti che erano rimasti bloccati a causa della dimostrazione, aggredendo uno di loro.
Il processo iniziò subito dopo la denuncia della dirigenza della Capaldo, costituitasi parte civile. I lavoratori che parteciparono alla manifestazione avevano ricevuto il supporto della dirigenza regionale e nazionale del sindacato. Alla sbarra erano finite in tutto 22 persone: 6 sindacalisti e 16 operai. Il giorno del “picchetto” – così ricostruisce la Procura – i sindacalisti avrebbero bloccato il transito dei mezzi sdraiandosi per terra e, nei momenti di tensioni scaturiti con autisti di camion che, senza solidarizzare con la protesta volevano forzare il blocco, avrebbero colpito un autista. Per gli operai è invece stata esclusa ogni tipo di responsabilità: sono stati assolti con la formula “per non aver commesso il fatto”.
“Il verminaio di illegalità e di truffe anche a carico dello Stato, documentate da indagini dell’Ispettorato del Lavoro ma anche da inchieste dei carabinieri, non è bastato al Tribunale di Avellino per intuire il clima di sopraffazione che regna nella gestione del personale di questo tipo di aziende – ha commentato l’Unione Sindacale di Base in un comunicato -. Si preferisce colpire chi tenta di opporsi a questa condizione invece che smascherare un sistema assai poco trasparente in cui si intrecciano relazioni tra chi agisce e chi avrebbe il compito e l’obbligo di esercitare i controlli. Il picchetto che venne organizzato quel mattino non è stato considerato parte di una lotta ma si è trasformato in un reato comune, completamente avulso dal contesto e interpretato come una sorta di lite tra cittadini privati, rappresentati come se si trovassero alla pari. In questo modo sono stati messi da parte i poteri di coercizione che le aziende esercitano quotidianamente sui lavoratori, ricorrendo a tutti gli strumenti di cui dispongono, compreso il licenziamento”.
A circa sette anni di distanza dai fatti, è stata così partorita la prima sentenza di un processo che pare destinato a proseguire. Ora le parti civili dovranno essere rimborsate: il danno sarà da quantificare in separata sede. Entro novanta giorni saranno rese pubbliche le motivazioni del verdetto. Nel frattempo, la difesa dei sindacalisti USB ha già reso noto che presenterà ricorso in appello.
[di Stefano Baudino]
Istituzioni e compagnia bella zerbini servi del sistema malato.
Siamo tornati indietro di cent’anni.