Sono almeno 1200 gli uomini, le donne e i bambini di origini subsahariane che da inizio luglio a oggi sono state prelevate dalla polizia tunisina nella città e nei dintorni di Sfax e abbandonate nei due deserti confinanti con la Libia e l’Algeria. Per più di una settimana sono rimasti senza acqua né cibo, in una terra di nessuno, senza sapere dove andare, bloccati tra il deserto e il mare e due stati che non li vogliono. Pedine di una partita a scacchi che si sta giocando tra la Tunisia e l’Unione Europea.
Finalmente, lunedì 10 luglio, circa 650 delle persone che si ritrovavano nel deserto al confine con la Libia sono state prelevate dalle forze di polizia tunisina e portate in alcuni centri nel paese a Médenine e Ben Guerdane. Altre centinaia invece sono ancora lì e al confine con l’Algeria. «Ci pensi la comunità internazionale» aveva ribadito Tunisi per giorni. Cerca soldi e finanziamenti da parte dell’Unione Europea per bloccare e limitare le partenze, e un’altra volta i migranti sono merce di scambio tra governi e stati. Soldi in cambio di politiche di respingimento, ma “meno visibili” e scioccanti agli occhi della comunità internazionale. Già si contano dei morti, e le condizioni per le altre centinaia di persone sono al limite della sopravvivenza. Secondo varie testimonianze rilasciate a Human Rights Watch e a Al Jazeera, la polizia tunisina ha picchiato, stuprato e ucciso varie persone, con un sistematico furto di soldi e telefoni durante i fermi. Una donna ha partorito nel deserto, molte persone sono state costrette a bere l’acqua del mare.
La caccia al migrante é esplosa nel paese dopo la morte per accoltellamento di un cittadino tunisino per mano di alcuni giovani immigrati il 3 luglio, ma é stata alimentata e aiutata da mesi di discorsi razzisti e violenti contro i profughi da parte del presidente tunisino, Kais Saied e dei media nazionali. La crisi economica nel paese é forte e il governo ha trovato un perfetto capro espiatorio al malcontento: gli immigrati neri che ruberebbero il lavoro e puntano sulla sostituzione etnica. La campagna di odio verso gli immigrati é stata lanciata dal Partito nazionalista e rafforzata da vari discorsi del presidente Saied che accusava «orde di clandestini di essere fonte di violenza, reati e azioni inaccettabili». Nei giorni successivi all’accoltellamento, bande di giovani hanno cominciato ad attaccare, picchiare e derubare gli immigrati a Sfax, città di partenza di molte delle barche che cercano di raggiungere l’Italia. La polizia ha iniziato gli arresti, entrando nei domicili privati di molti immigrati o con retate per strada, prelevando centinaia di persone a volte dietro la retorica del “volerle proteggere” per poi deportarle e abbandonarle nel deserto.
La rotta tunisina é diventata una delle prime via d’accesso all’Europa, e sono migliaia le persone provenienti da tutta l’Africa che vi arrivano per imbarcarsi verso Lampedusa e le coste italiane. L’11 luglio la presidente della Commissione Europea, Ursula Von Der Leyen, insieme alla presidente del Consiglio italiana Giorgia Meloni e al primo ministro olandese Mark Rutte, aveva incontrato Kais Saied, promettendo investimenti e sovvenzioni per circa un miliardo di euro per sostenere l’economia tunisina in crisi, ma in cambio del rafforzamento del controllo delle frontiere marittime e terrestri. Un passo in avanti verso una sempre più violenta esternalizzazione delle frontiere, di cui la Tunisia sta diventando un partner privilegiato. Più di cento milioni infatti dovrebbero essere destinati al solo rafforzamento della guardia costiera tunisina, con una promessa di radar mobili, barche, telecamere e veicoli oltre che il rafforzamento della cooperazione poliziesca e giudiziaria. Numerosi sono stati gli incontri tra esponenti del governo italiano e tunisino negli scorsi mesi, con la presidente del Consiglio che parla di Tunisia come “paese sicuro” e di un “accordo modello”. Mentre le deportazioni di massa degli immigrati nel deserto sono già pratica costante in Algeria, e i governi europei finanziano con milioni di euro le prigioni libiche e le motovedette delle guardie costiere nordafricane, mentre in Marocco la polizia coi soldi spagnoli ed europei fa il cane da guardia dell’UE, e mentre la gente continua a morire in mare, i governi europei non fanno che investire nel rafforzamento delle frontiere e dei respingimenti. I diritti umani e le libertà vengono derogati e annientati in nome della lotta al traffico di esseri umani e dell’immigrazione clandestina.
Non é la prima volta che avvengono deportazioni di massa verso i confini libici e algerini. I respingimenti della settimana scorsa vanno a implementare questa dinamica già rodata e anzi super utilizzata in altri paesi come l’Algeria, ma soprattutto puntano a ottenere i soldi europei. Intanto, mentre stati e governi continuano la loro partita a scacchi, centinaia di persone sono ancora perse nel deserto.
[di Monica Cillerai]