Schiaffi, calci e pugni mentre la testa veniva tenuta coperta da una federa. Decisive le immagini registrate dalla videosorveglianza interna, le quali hanno consentito agli investigatori della Polizia penitenziaria e alla procura reggiana di ricostruire nei dettagli l’accaduto e identificare gli agenti responsabili. La vittima è un tunisino, il quale ha subito azioni brutali, violente e umilianti. I 14 agenti sono ora indagati per tortura e sospesi dal servizio. Anche se rimane da chiarire se l’accaduto sia o meno collegato al colloquio precedente con la direttrice, ciò che è certo è che l’Italia deve intervenire sulle condizioni di detenzione.
Il 3 aprile scorso la vittima è stata trasferita a Reggio Emilia da Bologna. Secondo le ricostruzioni, terminato il colloquio con la direttrice, nella via di ritorno verso la cella, il carcerato viene circondato dagli agenti. Uno di loro gli copre la testa con una federa bianca e gliela stringe intorno al collo mentre gli altri gli bloccano braccia e gambe. Dopo pochi metri lo sgambetto, seguito da schiaffi, calci e pugni al capo. L’umiliazione non si ferma. Il tunisino poi viene fatto rialzare e, prima di essere accompagnato verso il reparto di isolamento, gli vengono strappati pantaloni e mutande, lasciandolo nudo dalla cintola in giù. Infine viene gettato in una camera di pernottamento, dove riceve altri calci e pugni prima di essere liberato del cappuccio che per tutto il tempo era stato tenuto stretto al collo e controllato da un poliziotto. Una volta rimasto solo in cella, il detenuto inizia ad urlare, a sbattere la finestra e, riuscendo a rompere il lavandino, si procura un coccio di ceramica con cui si taglia l’avambraccio sinistro. Gli altri pezzi vengono lanciati contro le plafoniere del soffitto. Oltre un’ora dopo le prime botte, il medico viene fatto entrare in cella e il detenuto viene poi trasferito in infermeria, dove lamenta forti dolori alla testa e si registra la perdita di molto sangue.
Il 7 luglio, tre mesi dopo, il gip Luca Ramponi ha firmato l’ordinanza che impone a 10 dei 14 indagati la sospensione dal servizio e l’obbligo quotidiano di firma. Viste le immagini fornite dalle registrazioni e le testimonianze raccolte, secondo il giudice l’ipotesi più adatta sarebbe il reato di tortura. Ma per alcuni agenti non finisce qua: alcuni di loro dovranno rispondere anche di falso ideologico in atto pubblico per aver redatto e firmato relazioni di servizio false. Secondo le ricostruzioni manipolate, la responsabilità ricadeva sulla vittima, inventando lamette e oggetti di ferro che non compaiono nelle riprese. Ciò che resta da chiarire è se la tortura sia in qualche modo legata al colloquio avvenuto precedentemente con la direttrice del carcere: secondo l’esposto-denuncia è il tunisino stesso a raccontare che in quella conversazione si era lamentato per il vitto e i vestiti e aveva insultato la direttrice.
L’accaduto è solo uno tra i tanti episodi di tortura che avvengono nelle carceri italiane. Tra i peggiori abusi di potere già trattati dall’Indipendente c’è la mattanza di Santa Maria Capua Vetere, dove sempre grazie agli occhi delle telecamere venne catturata una vera e propria violenza di gruppo, il pestaggio di Ranza, che portò cinque agenti alla condanna per tortura e il caso della tortura alla questura di Verona, che portò all’arresto di cinque poliziotti. Questi episodi sono conferma di ciò che emerge dal diciannovesimo Rapporto Antigone sulle condizioni di detenzione: sovraffollamento, condizioni sanitarie impossibili, suicidi, violenze e torture. Se come affermava Voltaire “il grado di civiltà di un Paese si misura osservando la condizione delle sue carceri”, l’episodio di Reggio Emilia è solo uno di una lunga serie che dimostra quanto l’Italia debba ancora migliorare su diritti e civiltà.
[di Roberto Demaio]