A seguito della morte di Franco Mazzelli, operaio 18enne deceduto a Fermo dopo che il tetto del capannone sul quale stava lavorando ha ceduto, è stato indetto per oggi un presidio di fronte al Ministero del Lavoro, a Roma, per chiedere misure più stringenti volte a evitare gli “omicidi sul lavoro”. Nello specifico, sindacati e associazioni chiedono che venga introdotto nel codice penale il reato di omicidio e lesioni gravi o gravissime sul lavoro, che inasprisca le pene ai danni dei datori di lavoro che non rispettano le norme in materia di protezione dei dipendenti. La campagna di raccolta firme per la legge di iniziativa popolare (ne servono 50 mila perché la proposta venga depositata in Senato) è stata lanciata su suolo nazionale alla fine dello scorso giugno.
Nel solo 2023, secondo quanto riferito da Unione Sindacale di Base (USB) e Rete Iside, sono già oltre 600 i morti sul lavoro in Italia, con la Lombardia come Regione più colpita – 85 decessi dall’inizio dell’anno, all’incirca uno ogni due giorni. Prima di Franco Mazzelli era toccato a un operaio lombardo di 44 anni, morto a causa di un malore mentre tracciava la segnaletica stradale sotto il sole, a una temperatura percepita di 40 gradi. A giugno, mese che ha registrato un’impennata nel numero di vittime, due tecnici del Servizio Geografico Militare di Torino e un finanziere sono deceduti dopo essere precipitati in un dirupo con il fuoristrada mentre erano impegnati nella realizzazione di alcuni rilievi. Incidenti di natura estremamente differente, che sottolineano come i rischi collegati allo svolgimento di una mansione siano molteplici e potenzialmente mortali.
Se si guarda agli ultimi cinque anni, i decessi salgono a quattromila, mentre quasi quattro milioni di persone hanno subito danni gravi, 300 mila hanno subito danni permanenti ed altrettanti si sono ammalati per via dell’esposizione a sostanze inquinanti sul posto di lavoro. A fronte di tali numeri, denuncia Rete Iside, “le pene comminate ai responsabili per la mancata osservanza delle disposizioni normative in materia di prevenzione dei rischi per la sicurezza e la salute sui luoghi di lavoro sono molto tenui e di scarsa rilevanza”.
Ad essere problematica, in particolare, è la natura troppo generica degli obblighi cui devono sottostare i datori di lavoro per garantire la sicurezza dei dipendenti. Insieme all’entità lieve delle pene previste (dai due ai sette anni di reclusione, secondo quanto previsto dal comma 2 dell’art. 589 del codice penale), questi non comportano un adeguato deterrente, sostiene Rete Iside. La nuova legge intende quindi distinguere i comportamenti del datore in vari gradi di gravità, con sanzioni adeguate in base al grado di colpa e della gravità del fatto. Il disegno di legge introduce quindi il reato di omicidio sul lavoro (artt. 589-quater, 589-quinquies) e quello di lesioni personali sul lavoro gravi o gravissime (590-septies e 590-octies). Per entrambe viene confermata la pena già prevista dalla legislazione vigente, con un amento da 8 a 12 anni in caso di morte del lavoratore e da 3 a 7 anni in caso di lesioni gravi o gravissime dovute al mancato adempimento del datore di lavoro agli obblighi di sicurezza.
La proposta mira a sovvertire una certa narrativa comunemente diffusa e a riportare l’attenzione sul fatto che, come sottolinea USB, si tratta di “omicidi sul lavoro: non di morti ‘fatali e imprevedibili’ ma della naturale conseguenza di scelte padronali, con le quali interessa solo massimizzare i profitti, tagliando su salari e sicurezza a discapito della vita di lavoratori e lavoratrici”.
[di Valeria Casolaro]