mercoledì 25 Dicembre 2024

Il “grande inganno” del grano ucraino: l’80% va ai Paesi ricchi

Dopo il mancato rinnovo da parte del Cremlino dell’accordo sul grano ucraino sottoscritto il 22 luglio 2022 da Russia, Ucraina, Turchia e Onu – e più volte prorogato fino all’ultima scadenza del 17 luglio 2023 – è arrivata all’unanimità la condanna a Mosca da parte di Nato, Ue e della stessa Onu: l’Alto rappresentante Ue per la politica estera, Josep Borrell, durante il vertice Ue-Celac svoltosi ieri e oggi, ha accusato la Russia «di usare la fame delle persone come arma», mentre il segretario delle Nazioni Unite, Antonio Guterres, ha affermato che «la mossa si ripercuoterà su milioni di persone che ne pagheranno il prezzo». La premier italiana, Giorgia Meloni, invece, facendo eco ai rappresentanti delle più alte cariche istituzionali occidentali, ha parlato di «offesa contro l’umanità». Tuttavia, stando ai dati di un recente e dettagliato rapporto Oxfam – organizzazione internazionale per la lotta alla povertà – quella dei leader occidentali si rivela niente più che mera retorica volta a demonizzare la Russia in quanto sistemica rivale geopolitica. Il rapporto mette, infatti, nero su bianco che «fino ad oggi l’80% dell’export passato attraverso il Mar Nero se lo sono accaparrato i Paesi più ricchi, mentre agli Stati più poveri e a un passo dalla carestia come Somalia e sud Sudan è andato appena il 3%». Il documento dichiara inoltre esplicitamente che «l’accordo che un anno fa aveva portato allo sblocco dell’export di grano dall’Ucraina al Mar Nero verso il resto del mondo si è rivelato del tutto inadeguato a fronteggiare l’aumento della fame globale, acutizzato dalla crescita esponenziale dei prezzi di cibo ed energia».

«L’accordo che ha consentito di riprendere le esportazioni di cereali dall’Ucraina ha certamente contribuito a contenere l’impennata dei prezzi alimentari – aumentati comunque del 14% a livello globale nel 2022 – ma non ha rappresentato la soluzione alla fame globale che oggi colpisce almeno 122 milioni di persone in più rispetto al 2019. Centinaia di milioni di persone soffrivano la fame prima che la Russia invadesse l’Ucraina e centinaia di milioni continuano a soffrire la fame oggi: 783 milioni in totale l’anno scorso, secondo i recentissimi dati FAO. Paesi come il Sud Sudan e la Somalia, a cui è andato appena lo 0,2% del grano ucraino dall’entrata in vigore dell’accordo, sono ad un passo dalla carestia», ha spiegato Francesco Petrelli, consigliere sulla sicurezza alimentare di Oxfam Italia. Quanto riportato dall’organizzazione sui destinatari del grano ucraino si basa sui dati del Joint Coordination Centredelle Nazioni Unite.

Secondo il report Oxfam, l’unica soluzione per combattere fame e povertà è ripensare radicalmente l’attuale sistema alimentare mondiale: «La crisi attuale non si risolverà continuando a produrre in modo concentrato ed estensivo prodotti di prima necessità solo in alcuni Paesi, ma diversificando e investendo nei piccoli agricoltori soprattutto nei Paesi più poveri […]», si legge nel documento.

Oltre ad avere mistificato le conseguenze della sospensione sull’esportazione del grano ucraino, l’informazione occidentale ha totalmente omesso di spiegare le cause della mancata proroga dell’accordo, su cui pesano proprio le sanzioni occidentali. L’accordo, concluso nel 2022 a Istanbul, consta di due parti: la prima riguardava l’esportazione di grano ucraino attraverso il Mar Nero; la seconda – firmata dalle Nazioni Unite e dalla Russia – riguardava alcune condizioni poste da Mosca, tra cui la rimozione delle restrizioni alle esportazioni di prodotti agricoli e fertilizzanti russi; il ricollegamento della banca agricola russa – che gestisce i pagamenti per le esportazioni agricole – al sistema di pagamento SWIFT; il via libera all’esportazione di ammoniaca russa attraverso il gasdotto Togliatti-Odessa verso Russia, Ucraina e Turchia; la revoca delle restrizioni sulla fornitura di macchine agricole e pezzi di ricambio al Paese; il permesso alle navi russe di entrare nei porti stranieri, nonché lo sblocco della logistica dei trasporti e l’assicurazione sui trasporti e sui beni. Tuttavia, alla fine di giugno 2023, durante le consultazioni, le Nazioni Unite hanno ammesso di non essere in grado di soddisfare le richieste russe, secondo quanto riferito dal viceministro degli Esteri russo Sergey Vershinin.

Il capo del Cremlino, Vladimir Putin, il 13 luglio – 4 giorni prima della scadenza del contratto – aveva informato che Mosca avrebbe potuto ritirarsi dall’accordo se le sue condizioni, sottoscritte nell’accordo, non fossero state rispettate. Allo stesso tempo, il presidente russo ha dichiarato che il Cremlino estenderebbe immediatamente l’intesa a patto di vedere alcune promesse mantenute.

Le ripercussioni globali dalla mancata proroga dell’accordo riguarderanno un ulteriore aumento dell’inflazione dei beni alimentari, già molto elevata in Europa: il prezzo dei futures sul grano con consegna a settembre sul Chicago Mercantile Exchange, infatti, è cresciuto di oltre il 3%, raggiungendo i 6,84 dollari per bushel, pari a circa 27 chili di grano.

Se da una parte, dunque, l’accordo non ha effetti determinanti sulla riduzione della fame nel mondo, dall’altra, la sua mancata estensione può provocare un inasprimento dell’inflazione alimentare nei Paesi “ricchi”. Tuttavia, le maggiori conseguenze sono ricondotte ipocritamente dalle istituzioni occidentali all’aggravamento della fame nei Paesi più poveri – al solo scopo di compattare l’opinione pubblica contro la Russia – quando in realtà essa dipende da un sistema economico e alimentare iniquo e disfunzionale alimentato dal neocolonialismo e dalle politiche predatorie europee e americane, attuate per mezzo delle organizzazioni finanziarie neoliberiste come l’FMI e con il ricatto del debito.

[di Giorgia Audiello]

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