domenica 22 Dicembre 2024

Via D’Amelio: l’anniversario delle divisioni

Un movimento antimafia spaccato, a tratti dilaniato, incarnato da fazioni ontologicamente contrapposte in disaccordo su (quasi) tutto. È questo lo scenario a cui si assiste in vista del 31esimo anniversario dell’attentato di Via D’Amelio, in cui, il 19 luglio 1992, vennero assassinati il giudice Paolo Borsellino e gli agenti della sua scorta. Una strage feroce segnata da un maxi-depistaggio certificato dal processo Borsellino-Quater, su cui il Tribunale di Caltanissetta ha da poco partorito un’importante sentenza e attualmente oggetto di delicate indagini dei pm di Caltanissetta, che stanno approfondendo il tema del presunto ruolo di entità esterne a Cosa Nostra nel delitto. Proprio sulle risultanze processuali legate alle inchieste sull’attentato, nonché sulle implicazioni politiche legate a quegli episodi segnanti e alla loro narrazione odierna, si sta consumando una battaglia colpo su colpo, in cui anche i parenti delle vittime di mafia prendono posizioni divergenti e spesso inconciliabili.

Tale fotografia era già stata scattata lo scorso 23 maggio, giorno delle commemorazioni per l’anniversario della morte di Giovanni Falcone. In quella occasione, ai giovani attivisti del corteo “Non siete Stato voi, ma siete stati voi“ – che riuniva decine di associazioni e sigle sindacali – era stato impedito attraverso un’ordinanza del questore di Palermo di raggiungere l‘Albero di Falcone di via Notarbartolo, luogo in cui ogni anno si ricorda la morte del giudice. L’accesso era stato garantito solo al corteo “ufficiale” organizzato dalla Fondazione Falcone, di cui è simbolo la sorella del giudice orto a Capaci, Maria Falcone: in prima fila, accanto a lei c’era il sindaco di Palermo Roberto Lagalla, che in campagna elettorale ottenne l’endorsement di Marcello Dell’Utri e Totò Cuffaro: due condannati per gravi reati connessi alla mafia. Cercando di spezzare i cordoni delle forze dell’ordine per protestare contro il corteo “ufficiale” e omaggiare il defunto giudice, decine di attivisti sono stati spintonati e manganellati dai poliziotti in tenuta antisommossa, in un pomeriggio di grandi scontri e feroci polemiche.

Uno dei primi a esprimere pubblicamente solidarietà ai manifestanti era stato Salvatore Borsellino, fratello del giudice Paolo. Eppure, anche all’interno della famiglia Borsellino fioccano enormi divisioni. Alcuni giorni fa, intervistato da Salvo Palazzolo su Repubblica, Fabio Trizzino, avvocato dei tre figli del giudice palermitano, da un lato ha auspicato l’unitarietà del movimento antimafia, ma dall’altro ha pesantemente criticato l’operato del Movimento delle Agende Rosse fondato da Salvatore Borsellino, che da anni si batte per la verità sulla strage di Via D’Amelio, sugli attentati “collaterali” e sui rapporti tra mafia e istituzioni. «A volte mi chiedo se le Agende Rosse siano veramente al servizio della ricerca della verità, per arrivare a una ricostruzione corretta – ha dichiarato Trizzino – oppure se sono innamorate di una tesi, quella della “Trattativa”, in maniera dogmatica e la portano avanti nonostante la plausibilità di ricostruzioni alternative». Trizzino, che ritiene il “rapporto mafia-appalti” del Ros – a cui Paolo Borsellino si sarebbe interessato prima della sua morte – come la più plausibile causa scatenante dell’accelerazione dell’eccidio del 19 luglio, nell’intervista ha sostenuto che la “Trattativa Stato-mafia” non sia stata “giudiziariamente accertata”. A smentirlo, però, sono diverse sentenze passate in giudicato che quella trattativa l’hanno ormai da tempo confermata e “storicizzata”, nonostante al processo “Trattativa” la Cassazione (al contrario dei giudici di primo grado) non abbia inquadrato come reato le condotte dei Carabinieri del Ros alla sbarra, che partorirono quella proposta di dialogo ai mafiosi tramite Vito Ciancimino. Sentenze che da sempre il Movimento delle Agende Rosse porta all’attenzione dell’opinione pubblica.

La reazione di Salvatore Borsellino era stata dura: «L’Avv. Fabio Trizzino, a meno che non si sia innamorato delle tesi sostenute da Mario Mori (generale dei Carabinieri imputato e poi assolto al processo “Trattativa”, ndr) e dai Ros, dovrebbe sapere che le recenti sentenze, sebbene largamente contraddittorie nei tre gradi di giudizio, non hanno negato l’esistenza della trattativa, peraltro già da tempo accertata da una sentenza passata in giudicato come la sentenza Tagliavia di Firenze, ma ne hanno negato gli effetti penali – ha scritto in un comunicato su Facebook -, e che lo stesso Mori, del quale egli sostiene così caldamente le tesi, che peraltro è stato il primo a parlare in fase processuale di “Trattativa”, dopo queste sentenze ha affermato in una intervista “Io rifarei la trattativa”, confermando così implicitamente il fatto di averla già fatta una volta». Dopo aver giudicato estremamente inverosimile che il dossier “mafia-appalti” possa aver costituito la causa acceleratrice della strage, Borsellino conclude affermando che, se Trizzino avesse davvero voluto evitare divisioni, «avrebbe potuto aspettare un altro momento per le sue dichiarazioni».

Lo scorso maggio, la Commissione Antimafia ha eletto la sua nuova presidente, Chiara Colosimo, di Fratelli d’Italia. La nomina è stata apertamente criticata da molti familiari delle vittime di mafia, tra cui lo stesso Salvatore Borsellino, che in una missiva di protesta avevano evidenziato la gravità dei rapporti amicali intrattenuti da Colosimo con Luigi Ciavardini, ex terrorista nero. Per contro, solo un mese dopo, l’avvocato Fabio Trizzino è recato a braccetto con lo stesso Mario Mori e una delegazione del Partito Radicale in Commissione Antimafia a incontrare Chiara Colosimo, al fine di esprimerle “solidarietà dopo le critiche sulla sua elezione”. Anche in quel caso, Salvatore Borsellino aveva preso le distanze dal legale dei suoi nipoti, sottolineando criticamente la malsana tendenza degli organi di informazione a presentare Trizzino come “l’avvocato della famiglia Borsellino” (il fratello del giudice è assistito da un altro legale, Fabio Repici) -, sostenendo che «il Generale Mario Mori dovrebbe essere inquisito dalla Commissione Antimafia, piuttosto che ricevuto».

Ad ogni modo, le Agende Rosse hanno già reso noto che il 19 luglio sfileranno insieme al cartello di sigle sindacali, associazioni e movimenti che avevano preso parte al “contro-corteo” dell’anniversario di Capaci, questa volta al grido di “Basta Stato-mafia“. La manifestazione partirà alle 15 proprio dall’albero Falcone, ormai divenuto simbolo dello “scollamento” tra l’antimafia istituzionale e quella movimentista. «Il corteo sarà composto dalle stesse persone che il 23 maggio sono arrivate in via Notarbartolo e in maniera poco edificante sono state fermate quando stavano per arrivare all’albero Falcone per il minuto di silenzio – ha dichiarato Salvatore Borsellino -. Ecco, questo non accadrà il 19 luglio: in via D’Amelio saranno i benvenuti».

Poche ore dopo, alle 19, inizierà invece la fiaccolata organizzata dalla destra palermitana – che ha sempre sbandierato l’appartenenza politico-ideologica di Paolo Borsellino, che non fece mai mistero della sua vicinanza all’MSI -, che da piazza Vittorio Veneto confluirà fino in via D’Amelio. Sono attesi la presidente della commissione antimafia Chiara Colosimo e i ministri di Fdi Andrea Abodi e Nello Musumeci. Ma, anche qui, non mancano i malumori e le voci fuori dal coro. Fabio Granata, storico esponente della destra siciliana – arrivato in passato alla vicepresidenza della Commissione Antimafia e protagonista dello “strappo” degli ex di Alleanza Nazionale con il PDL di Silvio Berlusconi – quest’anno ha per esempio deciso di smarcarsi dall’evento, di cui è sempre stato uno dei principali promotori. L’ex deputato, oggi assessore a Siracusa, ha criticato il governo Meloni per non aver «determinato su questi temi una rottura auspicata (non solo a destra) con il berlusconismo», registrando la «malcelata soddisfazione» di alcuni settori del governo e del partito della premier per le assoluzioni dei Ros al processo sulla Trattativa e «l’autentica crociata contro i magistrati» del ministro Nordio. Volgendo lo sguardo allo schieramento opposto, Granata ha anche attaccato l'”interpretazione storiografica miope, ideologica e sostanzialmente falsa” che “a sinistra ha preso sempre più piede”, in cui si promuove l’idea di una «alleanza e organica» di fascismo e neofascismo con Cosa Nostra.

A confluire tra i dimostranti meloniani sarà poi un terzo corteo, quello organizzato dalla Nuova Democrazia Cristiana. Il suo leader indiscusso, l’ex governatore della Sicilia Totò Cuffaro – condannato nel 2011 per favoreggiamento aggravato a Cosa Nostra – non sarà però fisicamente presente, poiché impegnato in un viaggio in Burundi.

[di Stefano Baudino]

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