giovedì 19 Dicembre 2024

L’estrazione in acque profonde sta già devastando gli ecosistemi: servono regole

Dove si svolgono attività estrattive in acque profonde, le popolazioni animali marine diminuiscono. Ad affermarlo è stato un nuovo studio pubblicato di recente su Current Biology. In sostanza, la conclusione è che l’impatto sulla vita marina di questa controversa pratica potrebbe avere degli effetti ancor più devastanti di quanto previsto in precedenza. Secondo l’analisi, un anno dopo i test di perforazione effettuati nel 2020 in Giappone, si è registrata una diminuzione della vita marina nel sito. Come conseguenza della prima estrazione di croste di cobalto da montagne di acque profonde effettuata con successo nel Paese, la densità di organismi è ulteriormente diminuita, di oltre la metà, anche nelle aree esterne alla zona di impatto. Ciononostante, ad oggi, l’Autorità internazionale per i fondali marini e i suoi 168 membri non hanno ancora concordato le norme che dovrebbero regolamentare questo settore emergente. Il termine fissato è scaduto domenica scorsa, il che significa che l’estrazione commerciale in acque profonde potrebbe procedere senza nuovi vincoli.

Entro il 21 luglio, gli Stati membri del Consiglio dell’Autorità Internazionale dei fondali marini dovranno infatti esprimersi riguardo l’estrazione mineraria in acque profonde internazionali. Dallo scorso 9 luglio è però scaduta l’unica sembianza di regolamentazione in vigore per tale attività, la quale è stata quindi lasciata nell’incertezza giuridica nonostante si stiano moltiplicando le evidenze sugli impatti ambientali. Scienziati e ambientalisti, al riguardo, non hanno dubbi: l’attività in questione dovrebbe essere oggetto di una moratoria internazionale. “La narrazione secondo cui l’estrazione mineraria in acque profonde è essenziale per raggiungere i nostri obiettivi climatici è fuorviante – ha affermato il direttore del Consiglio UE delle accademie nazionali delle scienze – i danni generati dall’estrazione mineraria nei fondali potrebbero infatti essere tanto gravi per l’equilibrio del pianeta, e dunque per le società umane che ospita, quanto irreversibili”. Gli scienziati – hanno poi sottolineato gli esponenti dell’associazione WWF – “stimano che sia ad oggi disponibile appena l’1,1% della conoscenza scientifica necessaria per redigere regolamenti fondati sull’estrazione mineraria nei fondali marini, e anche i rischi sociali ed economici non sono chiaramente compresi”.

Negli ultimi anni, l’estrazione mineraria in acque profonde ha attirato l’attenzione internazionale poiché è proprio tra i 400 e i 5000 metri di profondità, nei substrati di roccia di montagne sottomarine e in aree segnate da attività vulcanica, che si possono trovare le terre rare e altri elementi oggi considerati strategici per la transizione energetica. I fondali marini, in quanto distanti oltre 12 miglia dalle coste di qualsiasi Nazione, sono tuttavia un bene comune e – come ha stabilito la Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare del 1982 – patrimonio dell’umanità da proteggere. Di conseguenza, allo scopo di normare la gestione delle risorse minerarie nelle acque internazionali, nel 1994 è nata l’International Seabed Authority, l’Autorità internazionale dei fondali marini. Dalla sua istituzione, l’ente ha concesso 31 licenze per esplorazioni estrattive pilota ad oltre 20 Paesi, tra i quali Cina, Russia, Giappone, India, Francia, Germania, Sud Corea e Brasile. Il Consiglio dell’Autorità – composto da 36 paesi su 167 più l’UE – ad oggi non si è però ancora espresso sul come procedere poiché probabilmente ancora non è chiaro come vadano spartiti i guadagni derivanti dalle estrazioni. Un approccio che punta quindi, ancora una volta, esclusivamente al profitto. Diversi Paesi – come Canada, Cile, Costa Rica, Ecuador, Francia, Germania, Micronesia, Nuova Zelanda, Panama e Spagna – si sono invece detti contrari. Vuoi per interessi personali o sensibilità ambientale, questi abbracciano l’opposizione da subito avanzata da numerosi scienziati e gruppi ecologisti e ritengono che la pratica andrebbe stroncata sul nascere.

[di Simone Valeri]

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1 commento

  1. Che andassero sulla Luna a scavare, con vanga e zappa. Tanto loro “c’hanno” le risorse e se la caverebbero. E magari nel giro di un paio di secoli di ‘civiltà lunare’ potrebbe anche scoppiare la prima guerra spaziale. Che sarebbe perfettamente in tono con la storia degli umani e inoltre si potrebbero dichiarare ulteriori emergenze.

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