Chiunque risieda nei pressi di un impianto di incenerimento di rifiuti ha il diritto ad accedere ai dati relativi alla mortalità e la frequenza di malattie. A stabilirlo una storica sentenza del TAR del Piemonte, pubblicata a febbraio di quest’anno e passata decisamente in sordina, la quale ha riconosciuto tali dati epidemiologici come “informazioni ambientali” a cui la Pubblica amministrazione deve consentire l’accesso. La decisione deriva da un ricorso promosso dal Coordinamento lecchese rifiuti zero contro l’Università degli Studi di Torino. Quest’ultima, anni fa, aveva evidenziato l’assenza di correlazione tra aree di residenza e patologie riconducibili all’esposizione di emissioni inquinanti. Il Coordinamento aveva quindi avanzato una richiesta di accesso alle informazioni usate dall’Università per giungere a tale conclusione. Dall’Ateneo nessuna risposta, da cui quindi, il ricorso vinto.
La vicenda ha inizio con la pubblicazione di un articolo scientifico su Epidemiologia e Prevenzione, in cui l’autore Cristiano Piccinelli si firma quale collaboratore del Dipartimento di scienze cliniche e biologiche dell’Università degli Studi di Torino. L’articolo fa riferimento ad un altro studio epidemiologico condotto dall’Ateneo con le Agenzie di tutela della salute della Brianza su mandato dei sindaci dei Comuni di Lecco. Lo studio riguarda gli effetti sulla salute dei residenti delle emissioni provenienti dall’inceneritore gestito a Valmadrera (LC) della società pubblica Silea Spa, responsabile di quasi 100mila tonnellate di rifiuti bruciati nel 2022. Per verificare la correttezza delle conclusioni, le quali non correlavano aree di residenza e insorgenza di patologie riconducibili all’esposizione di inquinanti, il Coordinamento lecchese rifiuti zero, impegnato da anni per la tutela dei cittadini dai possibili effetti dannosi dell’incenerimento dei rifiuti lecchesi, ha richiesto all’Università l’accesso alle informazioni ambientali utilizzate per la ricerca.
L’Università però non ha dato nessun riscontro e così l’associazione ha deciso di ricorrere al Tar Piemonte a settembre 2022. L’ateneo si è opposto sostenendo che i dati richiesti dall’associazione non erano soggetti al diritto d’accesso in quanto erano personali, “sensibili” e non qualificabili come “informazioni ambientali”. Tuttavia, i giudici hanno ritenuto che «i dati relativi alle coorti di popolazione posti alla base di uno studio epidemiologico sugli effetti delle emissioni di una discarica di rifiuti costituiscono a pieno titolo informazione ambientale strettamente connesse con i riferimenti appena richiamati. I dati relativi alla popolazione oggetto di studio sono pertanto direttamente connessi sia con i fattori ambientali che con lo stato di salute e sicurezza umana di cui all’art. 2, comma 1 lett. a) del decreto legislativo 195/2005 e sono riconducibili alla nozione di informazione ambientale».
L’Università è stata quindi condannata a fornire i dati, tutelando la riservatezza delle persone fisiche cui si riferiscono con anonimizzazione e pseudonimizzazione. Si tratta di un precedente storico che potrebbe permettere a cittadini ed associazioni, spesso in lotta contro l’aumento di inceneritori, di poter realizzare in proprio degli studi sugli effetti particolari di impianti o sorgenti ambientali, sfruttando la sentenza del Tar Piemonte.
[di Roberto Demaio]
il diritto alla salute sarebbe un concetto più credibile se lo stesso anelito alla trasparenza si fosse visto da parte della classe dirigente italiana anche in altri ambiti, ad esempio le misure prese per fronteggiare la pandemia di covid e le vaccinazioni. Invece da parte loro si vede solo un’accanita omertà. Ma non solo, c’è parecchio da fare anche in altri campi, ad esempio la salute e la sicurezza nei luoghi di lavoro.