lunedì 22 Luglio 2024

Mondo Convenienza: il paradigma dei prodotti a basso costo fatti pagare ai lavoratori

I lavoratori di Mondo Convenienza sono in mobilitazione da quasi due mesi, impegnati in una protesta che intende denunciare condizioni lavorative da sfruttamento. Gli scioperi, i picchetti e i cortei continuano, alimentando un dissenso generalizzato che in parte compensa la mancata copertura mediatica dei quotidiani italiani. Il silenzio è calato per ultimo sulle 300 persone che domenica scorsa, su iniziativa del sindacato Si Cobas, si sono riunite nel centro di Campi Bisenzio per dire no “allo sfruttamento e al caporalato” di Mondo Convenienza. Lo scandalo che ha colpito la regina dell’arredamento low cost e la sua gestione dei diritti dei lavoratori ha scoperchiato il vaso di Pandora con cui la maggior parte dei consumatori, tanto italiani quanto internazionali, non intende fare i conti: il paradigma dei tagli economici e sociali che si nascondono dietro ai prodotti a basso costo, una realtà di cui Mondo Convenienza, come ricorda il suo slogan – La nostra forza è il prezzo – è emblema.

La lotta dei lavoratori

Il corteo che ha sfilato per il centro cittadino è «a sostegno dell’importantissima lotta contro lo sfruttamento, il sistema degli appalti, il caporalato, il lavoro povero» e la mancata tutela «dei diritti», ha dichiarato Si Cobas. A pochi chilometri di distanza, presso il magazzino di via Gattinella, il sindacato sta supportando da quasi due mesi lo sciopero dei lavoratori che la cooperativa Rl2 assume per conto di Mondo Convenienza. I dipendenti ricoprono nello specifico i servizi di trasporto, montaggio e facchinaggio. Dallo scorso 30 maggio hanno incrociato le braccia per denunciare una situazione lavorativa insostenibile, chiedendo 5 turni a settimana di 8 ore (e non 12), maggiore sicurezza e l’applicazione del contratto collettivo nazionale della logistica (attualmente sono inquadrati col Multiservizi) per ottenere salari adeguati alle mansioni svolte: si tratterebbe di passare da uno stipendio base di 1180 euro a circa 1600. Luca Toscano, coordinatore Si Cobas per le province di Prato e Firenze, propone l’utilizzo di «un marcatempo per iniziare a conteggiare e retribuire l’orario di lavoro a fronte di una situazione che vede a oggi i lavoratori costretti a fare i turni di 10-14 ore per sei giorni la settimana».

A tali violazioni dei diritti del lavoro, che la Repubblica dovrebbe invece tutelare come disposto dalla Costituzione, si aggiungono poi straordinari non pagati (come nel caso del sabato lavorativo) e un regolamento aziendale che nega ai lavoratori l’indennità di trasferta se vanno in malattia o infortunio e non lavorano almeno 22 giorni al mese, come evidenziato da Potere al Popolo in una nota. Istanze avanzate non soltanto dai dipendenti di Campi Bisenzio: a Settimo Torinese i lavoratori della Veneta Logistic (che ha in appalto le consegne per Mondo Convenienza) hanno organizzato un picchetto di fronte ai cancelli del magazzino, denunciando «turni da 15 ore al giorno con stipendi da fame». Il presidio è stato sgomberato dalla polizia che ha sollevato di peso i lavoratori per far riprendere le attività logistiche. Scene viste anche a Campi Bisenzio, dove un camion per le consegne ha travolto – prima dell’arrivo delle forze dell’ordine – un gruppo di manifestanti, mandandone uno all’ospedale.

Mondo Convenienza ha risposto attraverso decine di licenziamenti ritorsivi, tentando poi di sminuire l’entità della protesta con l’obiettivo di delegittimarla agli occhi dell’opinione pubblica. Un’opinione pubblica di per sé silente, complice la striminzita copertura fornita dai media mainstream in un Paese sempre più incapace di manifestare dissenso. La protesta anti-Mondo Convenienza rappresenta, per la sua organizzazione e perseveranza, un’anomalia nel panorama italiano che evidentemente la stampa non ha interesse a raccontare. Ciò che è comprovata è l’attenzione della regina dell’arredamento low cost per le pubblicità con cui arricchire le pagine dei giornali e i canali Rai e Mediaset.

Per il momento la lotta dei lavoratori ha portato i primi frutti: la procura di Bologna si è interessata alla causa e ha aperto un’indagine, chiedendo il processo per cinque persone, tra cui Mara Cozzolino, presidente del Consiglio d’amministrazione di Mondo Convenienza. Tra settembre e ottobre, il giudice per le indagini preliminari si esprimerà sulla questione, disponendone l’archiviazione o accogliendo la richiesta di un processo. Nel frattempo i lavoratori continuano la loro mobilitazione, in attesa di un reale supporto istituzionale per portare Mondo Convenienza sulla strada della tutela del lavoro. Un caso che farebbe scuola, dal momento che l’azienda romana non è un’anomalia ma espressione del nostro settore produttivo, affrontando finalmente gli scheletri di un armadio tutto italiano.

Presidio a Lissone.

Prodotti a basso costo e diritti dei lavoratori

Mondo Convenienza, come ricorda il suo slogan principale, è espressione della produzione a basso costo. Un modello che per risultare competitivo sul mercato non può limitarsi a un taglio della qualità o allo sfruttamento dei principi delle economie di scala (produrre in gran quantità per abbattere i costi) ma deve andare oltre, intaccando i diritti dei lavoratori. Si pensi agli scandali che avvolgono, senza intaccarne le vendite, l’industria del fast fashion. Shein, leader mondiale del settore, è finita di recente al centro dell’indagine di Channel 4 Untold: Inside the Shein Machine, le cui telecamere hanno ripreso le condizioni di lavoro a cui i dipendenti sono sottoposti in Cina. I lavoratori dell’orbita Shein arrivano a prestare servizio fino a 18 ore al giorno con una pausa pranzo utilizzata anche per l’igiene personale, visto che i pochi momenti liberi diventano unico spazio di riposo nell’intenso mese di lavoro. Il compito degli operai tessili è realizzare 500 capi ogni giorno, per una misera paga di circa 550 euro al mese (4.000 yuan).

La moda a basso costo è in “buona” compagnia. In misura più o meno netta l’abbattimento dei costi di produzione passa per la riduzione dei diritti dei lavoratori. Nel caso di Mondo Convenienza si tratta di turni estenuanti, tutele inesistenti in caso di malattia e infortunio sul lavoro, paghe da fame che fanno leva su contratti collettivi nazionali svilenti per la forza-lavoro. Vivendo nella società del bello, del trionfo capitalista dell’eliminazione del dolore (cosa che vediamo anche in letteratura con la censura dei classici, rei di colpire la nostra “sensibilità”), la maggior parte dei consumatori sorvola sull’architrave che regge l’industria a basso costo, alimentandola. Questo processo di distacco dalla realtà è difficile da rompere, a maggior ragione se si considera che una parte dei consumatori è di fatto obbligata a scegliere le soluzioni low cost, che si tratti di cibo, abbigliamento o arredamento, per via di salari miseri. Nel cerchio perfetto costruito dalla grande industria la ricchezza si conserva ai vertici, mentre alla base vengono distribuite le briciole: così facendo la povertà alimenta la povertà. La mancanza di scelta reale è una condizione tipica dei dipendenti in forza all’industria low cost, che accettano paghe basse e condizioni estenuanti perché privi di alternative. Una realtà che interessa in particolar modo i lavoratori stranieri, come nel caso di Mondo Convenienza.

Per rompere questo cerchio all’apparenza perfetto servirebbe una seria redistribuzione della ricchezza. Una condizione evidentemente non prioritaria per la grande industria, che forte dell’influenza sul mondo politico e mediatico, può di tutto, anche trattare i lavoratori come oggetti che possono però prender vita e far sentire la propria voce, come sta accadendo da due mesi fuori ai cancelli di Mondo Convenienza. Una mobilitazione per il momento isolata, che con la giusta copertura mediatica e consapevolezza da parte della popolazione, potrebbe allargarsi a tutta la penisola viste le condizioni diffuse di sfruttamento e salari inadeguati, a cui si aggiunge la piaga del lavoro nero.

Adriano Olivetti, proprietario dell’omonimo azienda fino al 1960.

La visione di Olivetti

«La fabbrica non può guardare solo all’indice dei profitti. Deve distribuire ricchezza, cultura, servizi, democrazia. Io penso la fabbrica per l’uomo, non l’uomo per la fabbrica», era solito affermare Adriano Olivetti, l’imprenditore che il secolo scorso ha intuito come il benessere del lavoratore, la presenza di tutele, la produttività e la qualità del lavoro andassero di pari passo. Olivetti ha infatti creato un imponente sistema di servizi sociali per i lavoratori, che comprendeva quartieri residenziali, ambulatori medici, asili, mensa, biblioteca e cinema gratuiti, a cui si aggiungevano convenzioni con diverse attività esterne, l’assenza di divisione netta tra operai e ingegneri e la riduzione delle ore della giornata lavorativa mantenendo invariato il salario. Ne Il genocidio invisibile, lo sceneggiatore Silvano Agosti riporta un dialogo con un industriale del tondino, proprietario di un’immensa acciaieria a Brescia, un certo “Busi”. Lo scrittore gli chiede se è a conoscenza del fatto che una giornata lavorativa più corta farebbe rendere in modo maggiore gli operai, «con meno errori, meno incidenti, meno infiacchimento dei ritmi e maggiore entusiasmo produttivo». «Sicuramente» risponde lui, «ma non sarebbero più operai. Sarebbero degli esseri umani, con tutto ciò che ne consegue».

[di Salvatore Toscano]

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