giovedì 21 Novembre 2024

Commozione in Argentina: le nonne di plaza de Mayo abbracciano il 133° nipote desaparecidos

Cristina Navajas, militante del Partito Rivoluzionario dei Lavoratori, venne rapita a Buenos Aires nel luglio del 1976, all’età di 26 anni e tre mesi dopo l’instaurazione della dittatura militare. Di lei, studentessa di sociologia presso l’Universidad Católica Argentina (UCA) e del bambino che portava in grembo non si seppe più nulla. Fino ad oggi. «Con immensa gioia le Abuelas de Plaza de Mayo [organizzazione per i diritti umani argentina, nata per trovare e restituire alle famiglie legittime tutti i bambini sequestrati dai militari durante la dittatura di quegli anni, ndr] comunicano la restituzione del figlio di Cristina Navajas e Julio Santucho, nonché nipote della abuela Nélida Navajas, alla sua famiglia», si legge in un comunicato.

Anche se di Cristina non si ha ancora alcuna traccia, suo figlio è invece il 133esimo nipote che le abuelas (le nonne) di Plaza de Mayo, dopo un’estenuante ricerca, sono riuscite a riportare a casa.

Sfortunatamente Nélida, nonna biologica dell’uomo ritrovato, nonché ex segretaria e figura fondamentale dell’associazione, «ci ha lasciati nel 2012 senza aver mai potuto abbracciare il nipote tanto desiderato». Prima di morire, Nélida aveva consegnato il testimone delle indagini alle altre compagne e a suo nipote, Miguel “Tano” Santucho. Una famiglia, quest’ultima, molto attiva nel Partito Rivoluzionario dei Lavoratori e nell’Esercito Rivoluzionario del Popolo e che per questo, tra rapimenti, omicidi e sparizioni, perse quasi venti dei suoi membri.

L’avvicinamento del 133esimo nipote alla comunità delle abuelas –  il primo ritrovamento del 2023, dopo gli ultimi due dello scorso dicembre 2022 – è iniziato circa cinque anni fa, quando l’uomo, che fino a quel momento aveva creduto di essere figlio di un membro delle forze di sicurezza e di un’infermiera, ha cominciato a dubitare delle proprie origini.  È stata una delle sue sorelle, di vent’anni più grande, a confessargli di non essere figlio di quelli che credeva essere i suoi genitori biologici. Questi, quando interpellati, hanno negati ogni cosa, fino a che, lo scorso aprile, l’uomo (oggi 46enne ed il cui nome è ancora sconosciuto) è riuscito a sottoporsi ad un’analisi genetica. Inevitabilmente, questa gli ha mostrato la verità.

Ogni anno sono più di mille le persone che si rivolgono alla Banca del DNA con il sospetto di essere i figli di chi è scomparso durante gli anni dell’ultima dittatura (1976-1983). Un lavoro fondamentale, nella ricerca, è svolto dall’associazione delle abuelas, presso cui «chi sa qualcosa viene a raccontarcelo, e chi ha dubbi, viene a riferirceli. Solo così possiamo sperare di ritrovare i nipoti che mancano, che si stima siano almeno 500», bambini all’epoca strappati dalle madri per essere affidati a coppie di militari perché li allevassero come propri.

In Argentina, dopo il colpo di stato del 1976, l’esercito cominciò a mettere a tacere ogni tipo di opposizione, arrivando – si stima – a far sparire e\o uccidere almeno 30mila persone, quasi tutti civili. Le detenute in gravidanza, come Cristina, solitamente venivano tenute in vita fino al parto, e poi uccise. Le nonne e le madri di Plaza de Mayo, il luogo in cui si riunivano per chiedere notizie dei propri figli e nipoti, non si sono mai arrese. Fino a diventare un simbolo di vera e propria resistenza – oltre al gruppo delle abuelas esiste anche quello delle Madri dei desaparecidos (dispersi) di Plaza de Mayo.

«Siamo una società che dopo quaranta anni di democrazia continua ad esigere la verità su quanto accaduto ai desaparecidos. Continueremo a cercare il figlio di Alicia D’Ambra, il figlio di Liliana Delfino e tutti i nipoti e i figli scomparsi. Perché ogni restituzione è atto di riparazione per le famiglie, di verità e giustizia per la società, di memoria per le generazioni future. È la riaffermazione che la società argentina decide di non dimenticare e sostenere le politiche pubbliche che ci permettono di conoscere la verità su quanto accaduto durante l’ultima dittatura civile-militare», hanno commentato le abuelas.

[di Gloria Ferrari]

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