domenica 22 Dicembre 2024

Morti nel carcere di Modena: la Corte Ue per i diritti umani chiede chiarimenti all’Italia

La Corte Europea dei Diritti dell’Uomo (Corte EDU) ha ritenuto ammissibile il ricorso dei familiari di uno dei detenuti deceduti durante la rivolta nel carcere Sant’Anna di Modena, scoppiata l’8 marzo 2020 per via all’assenza di misure adeguate al contenimento della diffusione Covid-19 e al conseguente terrore del contagio tra i detenuti. Sul caso, spiegano gli avvocati, i magistrati hanno chiesto l’archiviazione senza che fosse fatta luce sulle cause dei nove decessi tra i detenuti. Il governo italiano sarà ora chiamato a rendere conto del motivo per cui non è stato in grado di mettere in atto una comunicazione efficiente riguardo la pandemia all’interno della struttura e giustificare la mancata tutela dei detenuti, oltre a rispondere della eventuale violazione del divieto di effettuare trattamenti inumani e degradanti.

È il 7 marzo 2020 quando nell’istituto di Modena, pesantemente affollato, si verifica il primo contagio da Covid-19. Le immagini che filtrano all’interno del carcere grazie alla televisione (l’invito a non uscire di casa, il distanziamento sociale, il lockdown) scatenano trai i detenuti il panico, amplificato dalle condizioni di restrizione della libertà personale e di sovraffollamento, ormai strutturale all’interno degli istituti penitenziari italiani – nel carcere di Sant’Anna la capienza era di 369 posti, i detenuti presenti 546. E poi la mancanza di mascherine e di disinfettanti, l’impossibilità di mantenere il distanziamento, le restrizioni circa le visite dei familiari. Quello di Modena non è l’unico carcere nel quale si verificano sommosse e rivolte, ma costituisce il caso più grave, di fatto il più grave degli ultimi 40 anni di storia penitenziaria italiana “per entità, ampiezza del coinvolgimento della popolazione detenuta, tragicità dell’epilogo”. Il bilancio, dopo quattro giorni, è di 9 deceduti tra i prigionieri. Sono 120 gli agenti di polizia penitenziaria indagati per violenza, lesioni e tortura.

Il 23 giugno scorso, tuttavia, la procura di Modena chiede l’archiviazione del caso. Le testimonianze dei detenuti sono definite “inattendibili”, le dichiarazioni sui pestaggi “discordanti”. Le ferite su detenuti coinvolti e cadaveri sono tuttalpiù riferibili a “condotte facinorose”. E poi “Appare oltremodo inverosimile che, a fronte di una situazione così allarmante, il personale di polizia penitenziaria concentrasse la propria presenza e le proprie energie per portare a compimento azioni di pestaggio in danno dei detenuti, piuttosto che impegnarsi affinché quella che appariva come una rivolta dalle dimensioni ‘epocali’ potesse essere gestita nel migliore dei modi e nel minor tempo possibile”. Tutte conclusioni alle quali i magistrati sono giunti senza tuttavia poter visionare i video di sorveglianza, dei quali non è ancora chiaro se vi sia traccia o meno. Inizialmente era stato dichiarato che i detenuti avevano distrutto le telecamere, poi che i secondini avevano staccato la corrente: «potrebbero comparire magicamente nel momento in cui ci sarà da accusare di devastazione e saccheggio i detenuti ritenuti responsabili della rivolta» commenta Alice Miglioli, del Comitato verità e giustizia per la strage del Sant’Anna di Modena.

Per la procura, dunque (come già successo nel 2021, con la prima richiesta di archiviazione), la colpa è ancora una volta solamente dell’overdose di metadone e degli psicofarmaci. A distanza di oltre tre anni dai fatti, tuttavia, il governo sarà forse finalmente chiamato a rispondere delle violazioni dei diritti umani che hanno avuto luogo nel penitenziario. La Corte EDU ha ritenuto ammissibile il ricorso dei familiari di una delle vittime. Il governo dovrà dunque ora rispondere ai quesiti della Corte Europea riguardo l’eventuale mancato rispetto delle norme europee in materia di salvaguardia dei diritti umani. Come spiegato dalla legale Barbara Randazzo, «Il giudizio interno si è aperto e concluso nell’ambito di neppure di un grado di giudizio, essendoci stata un’archiviazione per i nove decessi dei detenuti. Con questa archiviazione è stata chiusa definitivamente una vicenda senza che fosse stata fatta chiarezza sulle dinamiche che hanno dato luogo ai fatti».

[di Valeria Casolaro]

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