Il ddl per la riforma fiscale è ufficialmente legge dello Stato dopo il passaggio alla Camera dei Deputati, che ha approvato il testo con 184 voti a favore e 85 contrari. La maggioranza si è espressa compatta per il sì, supportata anche da Azione-Italia Viva. Contrari Pd, M5S, +Europa e Alleanza Verdi e Sinistra. Le novità principali riguardano la riduzione del numero degli scaglioni Irpef, che passano da quattro a tre (ma con il grande obiettivo della flat tax), il taglio dell’Ires alle imprese, l’arrivo del concordato preventivo biennale per Partite Iva e Pmi e lo scudo penale per chi collabora col Fisco.
Il disegno di legge, costituito da 23 articoli distribuiti in 5 titoli, rappresenta il quadro dei principi e dei criteri per la revisione del sistema tributario. L’Esecutivo dovrà tradurlo entro un anno in norme attraverso specifici decreti attuativi. Se dalla maggioranza si parla di una “riforma epocale” che dopo anni di attese consegnerà ai cittadini italiani un fisco semplificato, l’opposizione leva gli scudi, denunciando i favoritismi del governo alle categorie dei ricchi e degli evasori fiscali in danno dei meno abbienti e dei contribuenti onesti.
Quel che è certo è che, almeno in prima battuta, da un sistema basato su quattro scaglioni si arriverà a tre aliquote Irpef. Sulla base delle anticipazioni del governo, l’aliquota al 23% dovrebbe estendersi ai redditi fino a 28mila euro. Dunque, a scomparire sarà probabilmente l’aliquota al 25%, che oggi riguarda i redditi compresi tra i 15mila e i 28mila euro. Resterebbero invece invariate le altre due aliquote (35% per i redditi tra i 28mila e i 50mila euro e 43% per quelli superiori a 50mila euro). Il grande sogno della maggioranza è però quello di arrivare progressivamente alla flat tax, dunque ad una sola aliquota per tutti. Una soluzione “incostituzionale” per le opposizioni, che denunciano il venir meno del criterio della progressività fiscale, mentre il centro-destra punta a bypassare l’annoso scoglio attraverso il meccanismo delle deduzioni e delle detrazioni. Ma la “tassa piatta”, ad oggi, appare ancora un miraggio.
Altro capitolo della legge delega riguarda il taglio dell’Ires (l’imposta sui redditi delle società) alle imprese. L’aliquota ordinaria, che oggi si attesta al 24%, scenderà al 15%, a patto che le imprese vadano a destinare almeno parte del reddito ad investimenti, assunzioni o partecipazione dei dipendente agli utili. Nel testo è contemplato poi il progressivo superamento dell’Irap (l’imposta regionale sulle attività produttive), ma farà la sua comparsa una sovrimposta Ires al fine di garantire il finanziamento del fabbisogno sanitario. In arrivo c’è anche il concordato preventivo biennale per le partite Iva e le Pmi, ovvero un patto con il Fisco sulla base imponibile, che non varierà per i successivi due anni. Si prevede, inoltre, una revisione dell’Iva attraverso un trattamento “tendenzialmente omogeneo” per i beni e i servizi similari, come gli alimentari; tra le possibilità, vi è anche quella dell’azzeramento dell’imposta per alcuni beni di prima necessità.
Uno dei punti più controversi della legge delega riguarda, però lo scudo penale, relativo in particolare alle sanzioni penali tributari connesse alla dichiarazione infedele. Potranno giovarne i contribuenti aderenti al sistema dell’adempimento collaborativo che hanno avuto «comportamenti collaborativi» e hanno «comunicato preventivamente ed esaurientemente l’esistenza dei relativi rischi fiscali». Tale regime, che si porta dietro effetti premiali che si sostanziano nello sconto del 50% sulle sanzioni, verrà inoltre esteso ai “paperoni” che porteranno in Italia i loro grandi capitali, nonché ai risiedenti all’estero e che detengono in Italia, anche indirettamente, un patrimonio di almeno 1 milione di euro. Ora la palla ripassa al governo, che dovrà produrre i decreti legislativi per l’attuazione dei singoli punti del provvedimento.
[di Stefano Baudino]
Qui se non facciamo qualcosa è un casotto
In Italia si continua a parlare di Irpef
Nessuno parla mai delle mazzate di Inps che paghiamo.
Se si va a vedere quello paga una persona o un’azienda di Inps, si vede che l’iperf fa ridere in termini percentuali.
Ci sono alcuni dati che Italia non vengono mai fuori….
Chissà perché
Aggiungici anche che in Italia se non hai lavorato almeno 20 ANNI (quindi 20 anni di contributi) NON hai diritto alla pensione da lavoro ma solo alla pensione sociale mentre in tutti gli altri Stati DEL MONDO raggiunta l’età pensionabile hai diritto alla pensione anche se hai lavorato 2 anni!!
Il problema è che i contributi Inps vengono utilizzati anche per le tante voci ASSISTENZIALI (cassa integrazione, Invalidi etc…)
Quindi ti fanno capire che i tuoi contributi non bastano per pagarti la pensione.. ASSURDO !!!!
Bisogna semplicemente dividere le 2 contabilita’, PREVIDENZA E ASSISTENZA, e per quest’ultima far pagare a tutti una tassa di solidarieta’…