Un inscindibile connubio criminale tra ‘ndrangheta, massoneria deviata e politica collusa ha governato per decenni sulla città di Reggio Calabria. È questa, in definitiva, la principale risultanza delle inchieste “Mammasantissima”, “Reghion”, “Fata Morgana”, “Alchemia” e “Sistema Reggio”, riunite nel processo “Gotha“, sfociato in primo grado in una sentenza storica di cui sono appena uscite le motivazioni. Il verdetto, emesso due anni fa nell’aula bunker di Reggio Calabria, aveva partorito 15 condanne e 15 assoluzioni. Tra i personaggi più importanti raggiunti dalle pene, ci sono l’ex avvocato, consigliere comunale dell’MSI e poi parlamentare del PSDI Paolo Romeo (25 anni di reclusione), considerato “l’esempio dello sviluppo moderno del ruolo ’ndranghetistico”, e l’ex sottosegretario regionale di centro-destra Alberto Sarra (13 anni), inquadrato come l'”infiltrato” della ‘ndrangheta nelle istituzioni.
I giudici non hanno dubbi: Paolo Romeo, già condannato per concorso esterno e con una lunga storia giovanile a contatto con la destra extraparlamentare – molto vicino al principe Junio Valerio Borghese, mente del tentato golpe del 1970 – è “componente della massoneria segreta o componente riservata della ‘ndrangheta unitaria quale esponente della consorteria De Stefano”, cuore del sistema ‘ndranghetistico di Reggio Calabria. Un personaggio dalla spiccata intelligenza criminale che “ha attraversato pressoché indenne almeno tre lustri”, in cui “ha esercitato il ruolo di soggetto al vertice della struttura criminale”. Nelle motivazioni il Tribunale ha attestato come “i metodi praticati erano resi possibili da una fitta rete di relazioni intessute nel tempo con soggetti con ruoli istituzionali e allo stesso tempo con la mafia tradizionale, in posizione di raccordo tra il vecchio ed il nuovo”, al fine di “assicurare all’ente criminale di preservare la propria esistenza ed accrescere la propria potenza accedendo alle stanze del potere amministrativo“.
I giudici hanno confermato la ricostruzione di molti “pentiti”, i quali “hanno espressamente riferito di un interesse del gruppo De Stefano ad una certa svolta politica sino a nutrire una palese speranza verso un eventuale golpe; non si tratta di fantapolitica, come più volte eccepito dalla difesa, ma di semplici indicazioni afferenti una realtà ormai innegabile”. In atto vi era, insomma, un “nefasto legame esistente tra politica e mafia in uno scambio utilitaristico di dare ed avere”, sostanziatosi in una vera e propria “convergenza di soggetti con ruoli istituzionali in un ente partecipato anche da soggetti appartenenti alle consorterie criminali”.
Al fine di accaparrarsi risorse pubbliche e manovrare le istituzioni, scrivono i giudici, “Paolo Romeo si avvaleva di politici spregiudicati come Alberto Sarra per il procacciamento di voti in favore di politici accomodanti o controllabili”. Inoltre, “anche gli imprenditori mafiosi venivano mobilitati nel condizionamento del consenso elettorale, con l’impegno a riconoscergli le percezioni di importanti risorse finanziarie pubbliche”. Il Tribunale si è dunque soffermato sulla figura di Alberto Sarra, simbolo della destra calabrese ed ex consigliere, assessore e sottosegretario regionale tra gli anni Novanta e i Duemila. Lo spaccato emerso dalle motivazioni è impietoso: secondo la ricostruzione dei giudici, Sarra sarebbe stato “espressione soggettiva della ‘ndrangheta, collaudato collettore di voti per sé e per gli altri candidati, transponder tra la classe politica e la criminalità organizzata dei tre mandamenti”, cui avrebbe offerto “costantemente disponibilità a raccordare gli interessi privati della criminalità con l’azione degli enti pubblici, per il perseguimento di interessi particolari delle famiglie criminali, e conseguente condizionamento dell’attività amministrativa”. Negli anni Novanta, infatti, Sarra fu “individuato da Paolo Romeo e da Giuseppe Valentino (sottosegretario di Stato al Ministero della Giustizia nei governi Berlusconi II e Berlusconi III, ndr) come il politico più spregiudicato a causa della sua capacità di interloquire con le famiglie criminali per la raccolta del consenso elettorale».
La carriera politica di Sarra è stata lunga e costellata da grandi successi elettorali, ovviamente “pompati” dal sostegno della criminalità organizzata calabrese. “Nel ’92 e nel ’98 – ricostruiscono i giudici – si ritiene che la candidatura di Sarra abbia beneficiato dei voti garantitigli da Audino Mario Salvatore, capo della locale di San Giovannello“, mentre nel 2000 “ha fruito per sé dell’appoggio degli esponenti della cosca Pesce e della cosca Condello“; nel 2001 ha poi “chiesto e ottenuto” il sostegno di Francesco Chirico e Antonio Fiume, “entrambi esponenti della cosca dei De Stefano“. Sarra vincerà anche alle elezioni del 2002 e a quelle del 2005, poi nel 2010 diventerà sottosegretario regionale alla riforme e alla semplificazione amministrativa.
Il giudici lanciano il loro sguardo anche sulla fase storica “corrispondente a quella della stagione stragista”, da cui emerge “un connubio tra criminalità organizzata e movimenti terroristici”. In quel periodo, “accanto a soggetti di estrazione tipicamente criminale, ed allo sviluppo delle strutture organizzative superiori, acclarate in una determinata fase storica nella Provincia articolata nei tre mandamenti, destinata ad applicare le regole tradizionali, si sviluppava l’esistenza di una struttura collaterale, riservata a pochi soggetti di identità occulta alla base“, con la quale “necessariamente la ‘ndrangheta tradizionale nelle sue strutture apicali doveva interloquire, nell’assicurare il governo della ‘ndrangheta militare, costituente comunque il bacino della forza operativa”. Una struttura di “invisibili” che, attraverso l’inabissamento della propria azione criminale, ha potuto tenere le fila dell’economia e delle movimentazioni politiche a Reggio Calabria, contribuendo il larga scala al depauperamento del territorio.
[di Stefano Baudino]
Il vomito proprio! 🙁