giovedì 21 Novembre 2024

Quello che sappiamo sulla Strage di Bologna: la mano fu neofascista, la mente no

“So per certo che con la strage di Bologna non c’entrano nulla Fioravanti, Mambro e Ciavardini. Non è un’opinione: io lo so con assoluta certezza. E in realtà lo sanno tutti: giornalisti, magistrati e ‘cariche istituzionali’. E se io dico la verità, loro – ahimè – mentono”. Sono queste le pesantissime parole, scritte venerdì scorso in un post di Facebook, con cui Marcello De Angelis – che non è un cittadino qualunque, bensì il responsabile della comunicazione della Regione Lazio – ha riacceso la polemica sulla narrazione politica, mediatica e giudiziaria sui responsabili della strage di Bologna. Oggi, De Angelis è tornato sui suoi passi, chiedendo “scusa” a tutti coloro a cui sente di aver “provocato disagi” e che ha “trascinato in una situazione che ha assunto dimensioni inimmaginabili”. Ad ogni modo, per fare ordine, è utile riaccendere i fari sulle verità di cui siamo in possesso sull’ideazione e l’esecuzione di quel devastante delitto. Che, a distanza di 43 anni da quel tragico 2 agosto 1980, fanno parte di un puzzle ancora in costruzione.

L’uscita di De Angelis, accolta con grande freddezza dalla premier Giorgia Meloni e dall’ala “governista” della destra di potere, va a contestare le risultanze ufficiali di processi ormai da tempo passati in giudicato, in cui sono condannati a pene ingenti tutti i personaggi da lui “assolti”. Le responsabilità del tremendo attentato – che fece 85 vittime e 200 feriti – secondo la Cassazione sono infatti da ricondurre ad alcuni ex membri dei Nuclei Armati Rivoluzionari, che per questo hanno pagato con la galera. Eppure, nuove inchieste e nuovi processi stanno progressivamente svelando il “secondo livello” criminale della strage, da cui non si può prescindere per comprendere le motivazioni che spinsero a metterla in atto.

Una particolare biografia

Quel che è certo è che De Angelis, un certo ambiente, pare averlo conosciuto molto bene. A raccontarcelo è la sua biografia: la sua militanza politica nel Fronte della Gioventù inizia negli anni del liceo, nel 1974. Tre anni dopo entra in Lotta Studentesca (dalla cui costola trarrà origine Terza Posizione), a braccetto con il fratello maggiore Nazareno, il quale morirà nel 1980, a 22 anni, all’interno del carcere di Rebibbia in circostanze ancora da chiarire. La loro sorella Germana, inoltre, ha sposato l’ex terrorista nero Luigi Ciavardini, anch’egli condannato per la strage di Bologna.

In seguito alla messa al bando di Terza Posizione, dopo sei mesi di detenzione a Londra, nel 1989 De Angelis si costituisce in Italia, dove viene condannato a 5 anni e sei mesi di reclusione per associazione sovversiva e banda armata. Successivamente, si riciclerà come politico (nel 2006 entrerà in Senato con Alleanza Nazionale, nel 2008 alla Camera con il Pdl) e come giornalista (diventa prima direttore del mensile “Area” della destra sociale, poi del quotidiano “Secolo d’Italia” e, infine, responsabile della comunicazione istituzionale della regione Lazio su chiamata del Presidente Francesco Rocca).

I primi processi

Il primo processo per la strage di Bologna, dove finirono imputate più di venti persone per strage, banda armata, associazione sovversiva e calunnia aggravata, iniziò nel 1987. Tra loro c’erano Valerio Fioravanti, Francesca Mambro, Gilberto Cavallini (NAR), Stefano Delle Chiaie (Avanguardia Nazionale), Licio Gelli (capo della loggia massonica P2), Pietro Musumeci e Giuseppe Belmonte (membri dei servizi segreti militari, il SISMI) e Francesco Pazienza (collaboratore del SISMI). In seguito a una serie di colpi di scena – tra cui una sentenza di Appello che fece cadere l’accusa di strage, poi annullata dalla Cassazione -, dopo una nuova condanna per strage nel nuovo processo di secondo grado, la Suprema Corte mise la parola fine: condannati in via definitiva all’ergastolo come esecutori materiali dell’attentato Valerio Fioravanti e Francesca Mambro (sempre dichiaratisi innocenti). Per calunnia aggravata con finalità di terrorismo furono invece condannati Licio Gelli e Francesco Pazienza: 10 anni a testa per aver depistato le indagini. Per l’esecuzione del depistaggio furono condannati Pietro Musumeci (8 anni e 5 mesi) e Giuseppe Belmonte (7 anni e 11 mesi).

Nel decennio compreso tra il 1997 e il 2007 si tenne poi un secondo processo, in cui ad essere condannato a 30 anni di carcere fu l’ex NAR Luigi Ciavardini, anch’egli come esecutore materiale dell’eccidio. Nel 2017 venne aperto un terzo processo, che questa volta vide imputato Gilberto Cavallini, un altro ex componente dei NAR. Condannato in primo grado alla massima pena dalla Corte d’Assise di Bologna per aver aiutato Fioravanti, Mambro e Ciavardini ospitandoli nella sua abitazione trevigiana prima dell’attentato e fornendo loro documenti falsi e un’automobile, attende ora l’Appello.

Il ruolo della P2 e dei servizi

Ma la vera e propria svolta, anche e soprattutto in relazione alla questione delle compartecipazioni esterne ai gruppi di terroristi neri nella strage, avrà luogo con il processo a Paolo Bellini, ex esponente di Avanguardia Nazionale. Un uomo che si mosse “tra più mondi” e che, negli anni caldi delle stragi di mafia, fu infiltrato in Cosa Nostra (era legato a Nino Gioè, personaggio di tramite tra mafia e servizi, che nel 1993 verrà trovato “suicidato” nella cella in cui era recluso e in cui si apprestava a collaborare). Anche Bellini ha subito una condanna all’ergastolo in primo grado per concorso nell’attentato. Le motivazioni della sentenza, però, hanno aperto un’ulteriore finestra sulla strage, inquadrandola come ultimo grande tassello della strategia della tensione, in cui “menti raffinatissime” – per dirla alla Falcone – ebbero un ruolo di estremo rilievo.

Nella sentenza, infatti, i giudici hanno ritenuto “fondata” l’idea “che all’attuazione della strage contribuirono in modi non definiti, ma di cui vi è precisa ed eclatante prova nel ‘Documento Bologna‘, Licio Gelli e il vertice di una sorta di servizio segreto occulto che vede in D’Amato (ex direttore dell’Ufficio Affari Riservati del Ministero dell’Interno, iscritto alla P2, Ndr) la figura di riferimento in ambito atlantico ed europeo”. Il “Documento Bologna” ritrovato tra le carte di Gelli nel 1982 e analizzato nel quadro del processo ai mandanti della strage di Bologna nel 2021, riporta movimenti finanziari e destinatari per un totale di 15 milioni di dollari, veicolati da Gelli su conti off-shore e poi distribuiti in contanti pochi giorni prima dell’attentato.

L’obiettivo politico

La Corte non ha dubbi: “la prossimità di Fioravanti” a soggetti quali “Paolo Signorelli e Fabio De Felice, i quali a loro volta erano strettamente legati ai servizi segreti e a Licio Gelli”, come anche “i suoi accertati rapporti diretti con Licio Gelli”, spingono a ritenere che “l’idea di colpire Bologna nacque in quello stesso contesto e fu coordinata da un livello superiore, avvalendosi anche dell’opera dei servizi deviati“. Altri esecutori materiali “furono scelti, probabilmente da figure di vertice dell’eversione nera o forse da esponenti dei servizi, tra personaggi che offrivano garanzie assolute di riserbo, per la loro appartenenza politica o per la loro condizione di latitanza”.

Sullo sfondo ci sarebbe stato un preciso obiettivo politico: in primis, la “necessità di impedire ogni prospettiva di accesso della sinistra al potere in Italia” e “l’attuazione del Piano di Rinascita democratica” di Licio Gelli. Per i giudici, fin dai tempi della strage di Portella della Ginestra (1947), venne tessuto “un filo nero, che giunge a Bologna, di azioni coordinate e connesse per interferire sul libero e autonomo sviluppo della politica nazionale da parte di forze esterne, generalmente legate agli esiti del secondo conflitto mondiale”. Per la Corte, “anche coloro che si resero verosimilmente mandanti e/o finanziatori della strage”, che non appartenevano “in modo diretto” a gruppi neofascisti, condividevano “obiettivi antidemocratici” e puntavano “all’instaurazione di uno Stato autoritario, nell’ambito del quale fosse sostanzialmente impedito l’accesso alla politica delle masse”.

Insomma, la netta presa di posizione di De Angelis (peraltro non supportata da alcun elemento utile a “riaprire” il dibattito sul punto), è inequivocabilmente inaccettabile, in quanto il ruolo degli estremisti neri nel delitto non è mai stato messo in discussione dalle sentenze. Ciò non toglie che le logiche di concepimento di quell’attentato – come peraltro attestato da importanti pronunce – siano da ricercare molto, molto più in alto della sola cerchia degli ex terroristi neri.

[di Stefano Baudino]

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6 Commenti

  1. Concordo con Michele Iodice. Ustica avvenne il 27 giugno ed essendo un aereo partito da Bologna la procura competente per indagare era quella di Bologna. Visto tutto quello che misero in atto per evitare che si scoprisse la verità, non mi stupirei se il movente della strage di Bologna sia collegata ad Ustica ed alla volontà di “impegnare” la Procura di Bologna con un fatto talmente grave da impedire di svolgere le giuste indagini sull’aereo caduto. Tra Ustica e Bologna ci sono 35 giorni… Sentenze passate in giudicato hanno documentato che “dipendenti dello stato” lavorarono nell’ombra per evitare che si scoprisse la verità per entrambi gli episodi. Complimenti per l’articolo.

  2. Si pensa anche ad un collegamento con l’altra strage avvenuta pochi mesi prima, quella di Ustica, che condivide con Bologna la stessa
    Città… ancora oggi le dinamiche di Ustica risultano poco chiare e non definitive. Di certo la bomba alla stazione dirottò l’interesse nazionale su quest’ultima

    • Concordo con Michele Iodice. Ustica avvenne il 27 giugno ed essendo un aereo partito da Bologna la procura competente per indagare era quella di Bologna. Visto tutto quello che misero in atto per evitare che si scoprisse la verità, non mi stupirei se il movente della strage di Bologna sia collegata ad Ustica ed alla volontà di “impegnare” la Procura di Bologna con un fatto talmente grave da impedire di svolgere le giuste indagini sull’aereo caduto. Tra Ustica e Bologna ci sono 35 giorni… Sentenze passate in giudicato hanno documentato che “dipendenti dello stato” lavorarono nell’ombra per evitare che si scoprisse la verità per entrambi gli episodi.

    • In realtà tutto ciò inizio con la Strage di Portella della Ginestra, dove l’intreccio stato, massoneria, mafia, servizi usa e fascisti oltre al bandito Giuliano, si manifesfó come primo grande atto terroristico per impedire avanzate delle sinistre in particolar modo del PCI. Tutti, ahimè, sposarono in chiave “chi tocca Yalta altrimenti salta” la tesi dell’unico responsabile Salvatore Giuliano, capo di una banda al cui interno convivevano infiltrati di polizia e carabinieri ..poi tutti morti ammazzati…la tecnica dei i forti ed efficaci depistaggi multi mediali iniziò allora a riprova che “dove c’è depistaggio c’è servizio e stato in attività”
      Bello il libro di Paolo Benvenuto Segreto di Stato.. c’è anche un film interessante..la storia d’Italia è fatta da volto coperti (non tutti) e da interessi scoperti tuttora vincenti.

  3. Interessante però ci sono due elementi a mio avviso trascurati o, peggio, distorti.
    1. Nel 1980 la fine della ‘sinistra’ era già suggellata. Il PCI dopo Moro completamente assorbito nella palude istituzionale. I gruppi extraparlamentari del tutto annichiliti dalla repressione e dalla spinta centrifuga della lotta armata. I gruppi armati oramai sconfitti. Di lì a pochi mesi anche l’ultima grande battaglia sindacale, l’occupazione della Fiat, chiuderà definitivamente un ciclo. Non ha quindi molto senso ipotizzare un gesto terroristico per impedire al cadavere della sinistra di ‘governare’.
    2. Che io ricordi i nar non usavano le bombe ed è abbastanza singolare che un gruppo, seppur spontaneista, con precisi riferimenti ideologici si possa prestare ad azioni non politiche come la strage alla stazione.
    Forse l’intero castello è appunto in castello!

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