martedì 5 Novembre 2024

Nel ghetto di Foggia è esplosa la rabbia dei braccianti

In seguito alla morte di un bracciante di 28 anni, originario del Mali, trovato morto sotto un albero dopo una giornata di lavoro nei campi, e agli incendi che hanno distrutto numerose abitazioni nel ghetto dei braccianti, nella giornata di ieri un centinaio di lavoratori hanno protestato davanti al centro di accoglienza di Borgo Mezzanone (Foggia). I braccianti, in presidio davanti ai cancelli del CARA, hanno richiesto il riconoscimento di tutele e diritti, il rilascio del permesso di soggiorno e l’assegnazione di alloggi, nonché chiarezza sui tempi e le modalità di realizzazione dei progetti del Pnrr con i fondi destinati dal governo al Comune di Manfredonia. Dopo una lunga insistenza e qualche momento di tensione – culminato nell’arrivo di un gruppo di poliziotti, che hanno anche estratto una pistola – i dimostranti hanno potuto incontrare sul luogo della manifestazione il vice questore, a cui hanno esposto le loro istanze.

I braccianti del “ghetto” di Borgo Mezzanone scioperano per denunciare una situazione di degrado, soprusi e difficoltà burocratiche che parte da lontano. «In questo campo, nel 2021, sono stati installati decine di nuovi container con i fondi della Regione Puglia, che dichiarava di voler combattere lo sfruttamento e dare un posto migliore in cui vivere a chi stava nel ghetto – hanno affermato i manifestanti del collettivo Campagna In Lotta -. Oltre al danno, la beffa: quei container, che altro non sono che un nuovo ghetto, sono pronti all’uso, ma sono vuoti da due anni, mentre nelle scorse settimane decine di persone hanno perso la casa per gli ennesimi incendi divampati nel ghetto». I container in questione, che posso complessivamente ospitare 400 lavoratori, sono costati svariati milioni. Ad ogni modo, in questi due anni nessuno ha potuto utilizzarli.

Ma le criticità oggi si sono amplificate, poiché decine di persone hanno perduto la casa per gli incendi che hanno interessato l’area del “ghetto”, proprio nel momento in cui sta per iniziare la fase di raccolta del pomodoro. Il bersaglio della protesta dei lavoratori, dunque, si sposta sui 53 milioni dei fondi del Pnrr riservati dall’Esecutivo al Comune di Manfredonia per trovare soluzioni abitative alternative da destinare ai braccianti. Anche in questo caso sono tanti, troppi, i punti di non ritorno: «A gennaio è stato firmato l’accordo per il progetto, che propone da un lato di realizzare foresterie (cioè nuovi campi), dall’altro riadattare le borgate della bonifica o della riforma agraria, facendo una distinzione tra lavoratori stagionali e stanziali, come se la precarietà di vita e di lavoro a cui siamo costretti fosse una nostra scelta – spiegano i dimostranti -. Per l’approvazione dei diversi progetti, la scadenza era il 30 giugno: che fine faranno tutti questi soldi?».

I lavoratori si erano già riuniti in manifestazione ad inizio marzo con l’obiettivo di chiedere chiarezza sull’utilizzo dei denari del Pnrr, ma ora la loro protesta viene ulteriormente accesa dagli effetti dell’intervenuta approvazione del decreto Cutro. Il Comitato denuncia infatti che, con il via libera al provvedimento, «le possibilità di avere riconosciuto un permesso di soggiorno si sono ulteriormente ristrette, mentre si parla di fare entrare 400mila lavoratori con i decreti flussi nei prossimi 3 anni. E per chi è già in Italia e magari è costretto a lavorare “in nero” perché irregolare, solo silenzio e baracche».

La situazione nel borgo di Mezzanone è sempre più critica e insicura. Lo scorso gennaio, due migranti – un uomo e una donna – erano morti per le esalazioni di monossido di carbonio causate da un braciere con carbone che avevano acceso nella notte per cercare di riscaldarsi. Poi, il mese successivo, sette persone furono arrestate per intermediazione illecita, sfruttamento del lavoro e impiego di lavoratori stranieri privi del permesso di soggiorno: per essere trasportati nei campi, i braccianti della baraccopoli erano infatti costretti a pagare al “caporale” che li accompagnava una quota di 5 euro al giorno, che, in accordo con i titolari delle aziende per cui svolgevano l’attività, veniva detratta dalla busta paga. Dalle indagini è emerso che, mentre lavoravano, i braccianti erano controllati a vista, gli era impedita la pausa ed erano bersagliati di insulti. I “caporali” pretendevano inoltre che ciascuno di essi riempisse almeno 56 cassette con i prodotti agricoli nell’arco di otto ore.

[di Stefano Baudino]

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