Nei fondali marini del Canale di Sicilia sono stati scoperti tre grandi vulcani. Le ricerche – coordinate dal Centro per la ricerca oceanica GEOMAR, dall’Università di Malta e dall’Istituto nazionale di Oceanografia e Geofisica Sperimentale (OGS) di Trieste – sono durate dal 16 luglio al 5 agosto ed hanno portato alla scoperta di 3 strutture vulcaniche di almeno 6km di altezza che si elevano per oltre 150 metri sul fondo del mare. La spedizione, nominata M191 SUAVE, ha rilevato i vulcani tra la costa meridionale siciliana e l’isola di Linosa, ma per le posizioni esatte si dovrà aspettare la pubblicazione ufficiale dello studio. È stato individuato nella stessa zona anche un relitto di una nave lunga 100 metri e larga 17, adagiata a 110 metri di profondità e la posizione è già stata segnalata alle autorità marittime. Il professor Emanuele Lodolo (OGS) ha dichiarato che le analisi dei vulcani per ora non presentano fasi eruttive significative ma che risultano necessari ulteriori studi per mappare il territorio e individuare tutte le aree potenzialmente a rischio.
La Sicilia si conferma per l’ennesima volta tra le regioni italiane che sono in grado di regalare più stupore ai ricercatori, dall’archeologia alle bellezze naturalistiche. Questa volta è stata la scoperta di tre coni vulcanici sottomarini ed il relitto di una nave a lasciare senza fiato gli scienziati. La spedizione scientifica internazionale è stata coordinata e finanziata dal Centro per la ricerca oceanica GEOMAR Helmholtz di Kiel, in Germania, e proposta dall’Istituto nazionale di oceanografia e di geofisica sperimentale italiano (OGS) e dall’Università di Malta. L’obiettivo era quello di mappare con maggiore precisione i fondali del mar Mediterraneo e studiarne l’attività vulcanica. Sono state ottenute immagini ad alta precisione tramite un ecoscandaglio Multibeam che permette di rilevare la forma dei fondali grazie alle emissioni acustiche riflesse. Grazie ad un magnetometro a traino sono state poi registrate anomalie del campo magnetico (dovute alla presenza di materiali ferrosi caratteristici delle rocce vulcaniche) ed è stato verificato che le strutture scoperte fossero effettivamente di tipo vulcanico. Sono stati raccolti campioni di roccia lavica e di materiale piroclastico anche da altri vulcani sottomarini già noti. Nei prossimi mesi saranno utilizzati per stimare l’età dei tre vulcani e ricavare informazioni sul tipo di magma che li alimenta. La spedizione ha permesso anche di correggere alcuni “errori grossolani” che segnalavano la presenza di rilievi sommersi che in realtà non esistono.
Il professor Emanuele Lodolo (OGS) ha dichiarato in un’intervista a Fanpage che ci sono indizi della presenza di almeno altri due vulcani che però non sono ancora riusciti a mappare. Sul rischio eruzioni delle tre strutture appena scoperte invece non possiamo ancora avere certezze, ma solo affidarci alle ipotesi dei ricercatori: «Quello più superficiale si trova a una quarantina di metri sotto il livello del mare. Una potenziale attività eruttiva futura non si può prevedere. Sono vulcani che per adesso non presentano fasi eruttive significative, anche se abbiamo osservato manifestazioni di tipo idrotermale, dunque di risalita di fluidi e gas in prossimità di questi apparati vulcanici. I rischi sono legati a potenziali manifestazioni esplosive, come nel caso di Ferdinandea nel 1831. Quindi, nell’ipotesi di un’eruzione, c’è ad esempio la possibilità di avere uno tsunami sulle coste, ma anche la caduta di ceneri e lapilli legata all’eruzione vulcanica. Chiaramente sono eventi su cui non possiamo fare previsioni, ma sono comunque un qualcosa che non possiamo escludere. Per questo è importante innanzitutto individuare questi corpi vulcanici, per poi monitorarli. In Italia, siamo ancora nella fase della scoperta, quindi siamo ancora indietro nel processo di tutela del territorio».
L’Italia è l’unico paese nell’Europa continentale che ospita vulcani attivi. L’elevata concentrazione di attività vulcanica nel Mezzogiorno deriva dallo scontro tra la placca africana, che si muove verso nord, e la placca euroasiatica. La collisione provoca la subduzione, ovvero lo scorrimento di una placca della litosfera (lo strato più esterno del pianeta) sotto un’altra placca. In Italia la subduzione avviene con la placca crostale ionica a sud che si inserisce sotto l’arco calabro. La fusione nel mantello esterno della roccia che scorre in profondità porta alla risalita del magma e quindi alla formazione di vulcani. La Sicilia si trova proprio nella zona in cui la subduzione si estende formando delle faglie e per questo è la regione italiana che conta il maggior numero di strutture vulcaniche (39 con i tre appena scoperti). Tra tutti spicca l’Etna, che con i suoi 3.326 metri di altezza è il più alto d’Europa e uno tra i più attivi al mondo. Nel 1831 un’eruzione creò addirittura una piccola isola di fronte a Sciacca, che raggiunse l’altezza di 60 metri ma che oggi, grazie all’attività di erosione, si trova sommersa a 7 metri sotto il livello del mare. I tre vulcani appena scoperti sono solo gli ultimi (per ora) di una lunga scia: la regione è nota da tempo per l’elevato numero di strutture nascoste sott’acqua che continuano a stupire i ricercatori da anni: a luglio 2019, per esempio, sono stati scoperti 6 vulcani sottomarini a soli 7km dalla costa agrigentina.
[di Roberto Demaio]
E tutto questo non incide sulla sicurezza del ponte sullo stretto? E sull’opportunità di farlo?
Il ponte sarebbe da tutt’altra parte. Sono interessanti, a proposito, gli studi fatti sulla possibilità di generare energia dalla corrente sullo stretto, visto poi il fondale rimane un’opera difficile da realizzare.
Articolo che va corretto
faglie (non fraglie)
rileggete i vostri articoli prima di pubblicarli: evitereste ripetizioni, sbagli evidenti di relazioni numeriche e anche qualche sgrammaticatura…Il tutto trasmette una sensazione di poca attenzione anche se i contenuti sono interessanti.