giovedì 21 Novembre 2024

Dalla lana al poliestere riciclato: breve storia dei costumi da bagno (e come farli durare)

Dai pesanti costumi castigati delle nostre nonne ai minuscoli fili interdentali sfoggiati sulle spiagge delle isole più in voga, sembrano essere passati secoli. Eppure il bikini ha compiuto “solo” 77 anni; era il 1946 quando il sarto (ed ex ingegnere automobilistico) francese Louis Réard, ispirandosi alle dame viste sulle rive di Saint Tropez, che usavano arrotolare i costumi dell’epoca per scoprire più pelle a favore dell’abbronzatura, ideò un “due pezzi” succinto e audace, che rivoluzionò la storia del beachwear per sempre (in realtà un modello simile è stato ritrovato in Sicilia, nei mosaici del 300 d.C. di Villa del Casale). 

Fino a quel momento, infatti, per bagnarsi erano usati degli “abiti”: siamo passati dai pesanti mantelli d’inizio XIX secolo fino ai completi composti da pantaloni al polpaccio, abiti al ginocchio e scarpine allacciate usati in Francia intorno al 1850. La scarsa praticità di questi indumenti fu lentamente abbandonata in favore di tutine, sempre intere e coprenti, che con il tempo hanno cominciato ad accorciarsi, separarsi e ridursi fino ad arrivare alle forme che conosciamo oggi. A cambiare, nel corso degli anni, non sono state solo le fogge, ma anche e soprattutto i materiali: dal jersey di lana, al cotone sferruzzato in maglie fitte ai ferri, dalla seta elasticizzata usata per alcuni completi fino alla lycra del periodo immediatamente successivo al dopoguerra. 

Indubbiamente le qualità di questa fibra sintetica derivata dal petrolio, come la capacità di allungarsi senza rompere il tessuto e ritornare alla forma originale, l’hanno resa facilmente perfetta per i nuovi modelli, perché le prestazioni di confort e vestibilità non potevano essere in alcun modo replicate da altri materiali naturali. Oltre al fatto di essere un materiale decisamente più economico. Il che lo rende ancora più adatto, nell’ottica di una produzione industrializzata e su larga scala.

I problemi che accompagnano lycra (e simili) sono svariati: non è biodegradabile né riciclabile, è prodotta partendo da materiali fossili che sono sempre meno disponibili (e per estrarre i quali sono necessarie grandi quantità di energia), consuma un sacco di acqua e per produrla si utilizzano un sacco di sostanze chimiche. A complicare le cose il problema delle micro-plastiche, ovvero il rilascio di micro-particelle a ogni lavaggio che vanno a finire direttamente in mare. 

Sintetico eco-sostenibile?

Letta così sembra un ossimoro, eppure le nuove tecnologie stanno dando un contributo e parte del problema diventa parte della soluzione. È il caso di tessuti sintetici sostenibili ottenuti al 100% da materiali plastici riciclati come reti da pesca, bottiglie di plastica, tappeti dismessi, scarti industriali. In questo modo una parte del problema, quella dell’utilizzo del petrolio, è abbattuta; anche la parte dello smaltimento dei rifiuti come bottiglie, reti, ecc. diventa l’inizio di un nuovo processo di trasformazione che porterà alla creazione di un nuovo materiale completamente riciclato. Il filo di Nylon rigenerato ECONYL® è un esempio nostrano, ottenuto trasformando la parte superiore di tappeti di Nylon e moquette, le reti da pesca e altri prodotti di scarto fatti di Nylon; questi, giunti a fine vita, non sono smaltiti in discarica, ma recuperatirigenerati e trasformati da Aquafil in filo ECONYL®, in seguito utilizzato per la produzione di tessuti altamente tecnici in grado di garantire le stesse performance. Le fibre sintetiche riciclate certificate a basso impatto ambientale sono sicuramente più ecologiche nella fase di produzione. Però le micro-plastiche le rilasciano pure loro. Per questo motivo è sempre più auspicabile far durare a lungo quello che c’è già.

Manutenzione e cura

Cambiare costumi ogni stagione (che poi una stagione vuol dire circa 3 mesi con un utilizzo non certo giornaliero) è un meccanismo indotto, non certo una necessità reale. O meglio, in generale i tessuti si deteriorano, quelli dei costumi ancora di più: ore sotto al sole, esposti al cloro, al salmastro e sfregati su sedie a sdraio o rocce… o rotolati nella sabbia. Anche la migliore lycra è spesso messa a dura prova, ma basterebbe prendere delle piccole precauzioni per allungargli la vita ed evitare nuovi prodotti in circolo. 

Lavaggio. Dopo ogni uso il lavaggio con acqua (non calda) e sapone neutro è un passaggio obbligato per la tutela del buono stato del tessuto. Non c’è bisogno di ammolli prolungati, di strizzate energiche, di metterlo ad asciugare al sole (che notoriamente stinge) e tanto meno di stirarlo.

Attenzioni! Sfregamenti eccessivi, siano su sabbia o scoglio, possono rovinare il tessuto più rapidamente. Così come oli e creme solari spalmati più sul tessuto che sulla pelle. Avere la possibilità di alternare un paio di costumi, evita di stra-consumarne uno solo (facendoli arrivare entrambi alla stagione successiva). 

Conservazione. Prima di mandare il costume in letargo, un rituale di buona conservazione è un toccasana. Per l’ultimo lavaggio è consigliato un risciacquo con l’aggiunta di poco aceto bianco di vino, lasciando l’indumento in immersione per pochi minuti (l’aceto è un ammorbidente naturale, ravviva i colori, preserva gli elastici e igienizza). Per assicurarsi che sia completamente asciutto, una bella passata con il phon (a debita distanza) prima di ripiegarlo senza forzare gli elastici e riporlo in scatole o cassetti. Importante non metterlo in buste di plastica, un ambiente che impedisce la circolazione dell’aria e favorisce la comparsa di cattivo odore nel guardaroba e sugli indumenti. Meglio optare per un contenitore di stoffa e meglio ancora metterli via singolarmente, senza fare ammucchiate inutili. Se poi nel cassetto infiliamo anche un sacchetto di gel di silice per eliminare l’umidità il più possibile, l’estate successiva il costume sfoggerà di nuovo tutta la sua bellezza.

[di Marina Savarese]

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