A Grado, in provincia di Gorizia, sono stati recuperati 53 reperti archeologici di diversa provenienza. Tra i ritrovamenti più importanti due colli di anfore che risalgono al V-VI secolo d.C, due colli di anfore vinarie risalienti al periodo tra il I secolo a.C. e il I secolo d.C. e un fondo di ceramica a impasto grezzo. Il merito della scoperta va all’operazione avviata a metà luglio dall’Arma dei Carabinieri e i militari del Nucleo Tutela Patrimonio Culturale di Udine. Portati in superficie anche frammenti di vasellame e altre parti di anfore che si trovavano lungo il canale delle Mee. Tutti i manufatti recuperati sono stati consegnati alla Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio del Friuli Venezia Giulia che procederà alla desalinizzazione, alla pulizia, al catalogo e infine al restauro. Il professor Massimo Capulli del Dipartimento di Studi Umanistici e del Patrimonio Culturale dell’Università di Udina ha avanzato l’ipotesi secondo cui ci possono essere ancora due relitti da scoprire.
L’Italia si conferma ancora una volta custode di importantissimi reperti archeologici che aspettano solo di essere scoperti. Questa volta però i resti non sono stati ritrovati a terra, ma nella laguna di Grado. Dalla metà del mese di luglio era iniziato un monitoraggio delle acque marine della zona con l’ausilio della Motovedetta CC 401 e ad una aliquota di 5 militari del Nucleo Subacquei Carabinieri di Genova. Il servizio è stato arricchito grazie alla collaborazione con la Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio del Friuli Venezia Giulia di Trieste e il Dipartimento di Studi Umanistici del Patrimonio Culturale dell’Università di Udine, i quali già da anni sono impegnati nello studio di un’imbarcazione rinvenuta a 7 miglia al largo di Grado risalente al III secolo a.C.
In corrispondenza dell’isola di Pampagnola, dove già l’anno scorso vennero identificati i resti di un’imbarcazione di epoca romana, sono stati rinvenuti 53 reperti archeologici di diversa provenienza. Alcune anfore sono state classificate in base alla tabella creata dall’archeologo tedesco Henry Dressel. Tra i vari tesori sono stati scoperti due colli di anfore della tipologia Late Roman, risalenti al periodo di esportazioni nel Mar Mediterraneo, Egeo e Nero del V-VI secolo d.C e riconoscibili grazie al collo più corto con bordo indistinto e spalla più ampia, due colli di anfore vinaie denominate Dressel 6 e Dressel 2-4 di Kos – risalenti al periodo tra il I secolo a.C. e il I secolo d.C – e infine un fondo di ceramica a impasto grezzo con applicati tre distinti piedini. Altri manufatti interessanti sono stati trovati lungo il canale delle Mee: scoperte due anfore Dressel 6/A, un’altra lunga 80cm ma senza anse, altri due colli di anfore vinarie, un frammento di vaso e una particella di piatto in terra sigillata con rilievi e decorazioni pregiate. Considerando che Grado era la porta sul mare dell’antica Aquileia – fondata nel 181 a.C. come colonia di diritto latino e poi invasa da Attila nel 452 e dai Longobardi nel 568 – i ritrovamenti potrebbero dimostrare l’elevata intensità di scambi commerciali della città con il bacino del Mediterraneo.
Il professor Massimo Capulli del Dipartimento di studi Umanistici e del Patrimonio Culturale dell’Università di Udine ha spiegato le dinamiche della scoperta e perché i reperti possono essere importanti per le future ricerche archeologiche. Secondo le ricostruzioni, la ricerca è partita dalla rilevazione di alcune anomalie del fondale durante l’attività di monitoraggio del relitto, che hanno portato alla scoperta di una struttura morfo-batimetrica di dimensioni insolite: si tratta di un dosso lungo circa 30 metri che si eleva dal fondale per circa 4 metri e trasversale rispetto alla litorale veneta. Tra la serie di blocchi lapidei sono stati trovati poi i 53 manufatti. Il professore ha aggiunto: «Abbiamo trovato un sito archeologico? Non proprio. Siamo in una zona dove il mare accumula materiale archeologico che deve strappare da qualche sito che si trova più al largo. Possiamo immaginare che vi siano almeno due relitti o zone di concentrazione di reperti appartenenti a due cronologie differenti. Si tratta di piccole tessere di un mosaico fortemente lacunoso ma che messe una accanto all’altra ci aiutano a ricostituire un’immagine più ricca di quello che doveva essere il traffico commerciale in questo quadrante dell’adriatico. Ricordiamo che Grado era la porta d’ingresso al sistema lagunare che portava all’antica Aquileia. Siamo in una delle più grandi aree archeologiche del mondo antico».
[di Roberto Demaio]