Uno dei ricordi più difficili da dimenticare è quello che è accaduto in un piccolo paese del Salento. Poche case, pochi abitanti ma tutti portatori di un’intensa serenità. È lì che ho vissuto momenti diversi e preziosi.
La cosa bella era che sia i conosciuti che gli sconosciuti venivano affettuosamente accolti con un “Ciaooo!” che consacrava l’inizio dell’incontro.
L’apparizione di ogni persona, anche se sconosciuta, risultava come un evento atteso con affettuosa pazienza.
Difficile descrivere i gesti che accompagnano un saluto e se a volte culminano in un abbraccio, ogni incontro contiene la leggerezza e la freschezza del gioco.
Naturale quindi la decisione di filmare i volti sorridenti degli abitanti e proiettarli a tarda sera, nella piazzetta del paese, su grande schermo.
È bello osservare tutti coloro che sono stati filmati e appaiono sullo schermo bianco, nel centro della piazza.
Quando poi si tratta di qualcuno degli spettatori presenti, l’immagine si arricchisce delle amichevoli risate di chi si riconosce nel filmato.
Mi piacerebbe che in alcuni quartieri o nei piccoli paesi vicini alla città, si realizzasse la proposta di filmare i volti di tutti o quasi gli abitanti, mentre si salutano con un semplice sorriso.
Su un grande schermo i volti sorridenti con la scritta del nome, proiettati ogni sera in piazza, offrendo una serena compagnia anche agli abitanti di passaggio.
Si tenga presente che in Natura, tutto invecchia ma il sorriso mai.
[di Silvano Agosti – regista, sceneggiatore, poeta e scrittore]
Uno degli indicatori socio-culturali strutturali e strutturanti della decadenza contemporanea, oramai radicato nel comportamento di individui di OGNI età, è questa stucchevole, assurda e ridicola mania di filmare sé stessi e gli altri negli atteggiamenti di una quotidianità che è sempre più stretta e compressa dalla cadenza infernale dell’iper-modernità, tanto da volerla immediatamente immortalare. Peggio, a volte non si riprende il suo scorrere, ma la sua messa in scena. Una sorta di fiction continua, ulteriore forma di rapacità “soft” di cui a farne le spese sono sempre loro, i più piccoli, i futuri adulti.
Siamo in presenza di un rituale pavloviano, strenua, triste e disperata testimonianza che tradotta in parole non sarebbe più “Io esisto” bensì “Sono esistito”, una realtà ontologica che sembra riattivarsi e concretizzarsi solo alla visione del film – seconda fase dello stesso riflesso pavloviano – solipsistica rappresentazione di sé. (Verrebbe da parafrasare Sartre; l’essere e il nulla).
Eloquente e molto significativo il modo in cui esordisce l’autore del testo.
“Uno dei ricordi più difficili da dimenticare….”
Lampante contraddizione della distorsione che denuncio, un pericoloso ma oramai inarrestabile e perverso gioco di specchi.