Le più fini menti del mondo accademico si stanno ancora scervellando nel tentativo di definire se ciò che viene generato attraverso l’uso della cosiddetta “intelligenza artificiale” possa o meno essere considerato Arte. Nel frattempo, il Mercato cerca di risolvere un dubbio ben più pragmatico, ovvero tenta di comprendere se i diritti d’autore dell’oggetto creato dall’IA possano essere effettivamente registrati per garantire un uso profittevole del prodotto finale. Sebbene recenti decisioni giuridiche suggeriscano una risposta negativa, il quadro normativo rimane ancora estremamente ambiguo.
Stephen Thaler, scienziato informatico, ha passato una parte considerevole della sua vita a testare i limiti burocratici dei contenuti autogenerati. Da metà degli anni Novanta, l’uomo ha bussato agli uffici dei Governi di tutto il mondo nella speranza di registrare dei brevetti derivati da alcuni algoritmi da lui sviluppati. Per farlo ha affrontato le giurisdizioni di Stati Uniti, Australia, Brasile, Canada, Cina, India, Israele, Germania, Giappone, Nuova Zelanda, Repubblica di Corea, Arabia Saudita, Singapore, Svizzera, Taiwan, Corte Suprema britannica e Ufficio Brevetti Europeo (EPO), ottenendo sempre risultati molto altalenanti.
L’ultima sfida di Thaler è stata quella di far autenticare attraverso la registrazione del diritto d’autore a un’opera bidimensionale partorita dalla sua Creativity Machine, seppur con scarso successo. Thaler ha presentato una richiesta all’Ufficio del Copyright statunitense l’anno scorso, ma ha ricevuto un rifiuto così categorico che ha citato l’ufficio stesso in tribunale, accusandolo di aver respinto arbitrariamente il suo progetto. Venerdì 18 agosto, il giudice Beryl Howell del tribunale distrettuale degli Stati Uniti ha però sostenuto la ragionevolezza del rifiuto, affermando senza mezzi termini che «l’autorialità umana è un requisito fondamentale del copyright».
La decisione costituisce un importante precedente giuridico nel campo dell’IA, eppure un simile esito era tutto meno che scontato. Nel contesto delle intelligenze artificiali, l’Amministrazione USA fa spesso riferimento a un caso del 2014 in cui la People for the Ethical Treatment of Animals (PETA) aveva contestato al fotografo David J. Slater l’autorialità di alcune immagini scattate da macachi che si erano inavvertitamente fatte dei “selfie” con le sue attrezzature. Secondo PETA, il diritto d’autore e i ricavi derivanti sarebbero dovuti cadere in seno alle scimmie.
All’epoca, i primati non avevano ottenuto la vittoria, tuttavia una serie di cause satellite ha definitivamente sancito che un’opera d’arte debba in ogni caso prevedere un coinvolgimento autoriale umano. Una posizione che peraltro si riflette anche nelle politiche dell’EPO, la quale sostiene che, almeno nel caso dei brevetti, l’autore non solo debba essere una persona fisica, ma che questi debba anche presentarsi come un soggetto con capacità giuridica secondo i canoni stabiliti dall’ordinamento.
Sussistono allo stesso tempo delle sottigliezze fondamentali che possono influenzare non poco la sopracitata decisione legale. Le critiche mosse a Thaler sono per esempio state applicate anche a Zarya of the Dawn, fumetto le cui immagini sono state generate dalla IA del programma Midjourney. In questo caso, l’Ufficio per il Copyright statunitense ha respinto la registrazione dei disegni, ma ha riconosciuto all’autrice Kris Kashtanova un intervento editoriale che le permette di rivendicare un certo grado di autorialità.
Una situazione affine si è presentata a ben vedere anche in Italia. Nel 2016, la RAI ha utilizzato l’immagine di un fiore reperita dal web senza però avere l’accortezza di riconoscere alcun compenso all’autrice, l’architetta nota come Lindelokse. Questo ha scatenato una controversia legale che ha portato l’emittente italiana a difendersi in Cassazione sostenendo che l’opera – The Scent of the Night – fosse stata generata da un software e che quindi non poteva essere soggetta a diritti d’autore. La legge italiana ha dato ragione alla professionista per ben tre volte, ricordando nel gennaio del 2023 che «un’opera dell’ingegno riceve protezione a condizione che sia riscontrabile in essa un atto creativo, seppur minimo, suscettibile di manifestazione nel mondo esteriore».
[di Walter Ferri]