Ogni anno produciamo più di 380 milioni di tonnellate di plastica. Può capitare che alcune piccolissime particelle di materiale si stacchino dall’oggetto madre e vaghino, inosservate, fuori e dentro di noi, finendo anche in posti inaspettati. È così che, per la prima volta, queste microplastiche, minuscoli pezzettini di materia, solitamente inferiori ai 5 millimetri, sono state individuate in campioni di tessuto cardiaco di 15 pazienti che hanno subito un intervento chirurgico al cuore. Gli scienziati dell’Environmental Science & Technology dell’American Chemical Society, che si sono serviti di strumenti a infrarossi, ne hanno scoperte migliaia, sebbene di qualità e quantità diverse a seconda dell’individuo preso in analisi.
Come hanno fatto i frammenti di plastica ad arrivare fino al tessuto cardiaco? La prima ipotesi è che le stesse procedure mediche invasive costituiscano una via d’accesso. Lo studio specifica infatti che una piccola parte dei ‘frammenti’ identificati è troppo ‘grande’ per pensare che sia entrata nel corpo per inalazione o ingestione. Invece è stato provato che “l’operazione al cuore stessa può consentire l’accesso diretto delle microplastiche al flusso sanguigno e ai tessuti”. Infatti, secondo precedenti indagini scientifiche, riportate dagli stessi ricercatori, alcune particelle sarebbero state rilevate persino nell’aria delle sale operatorie, e per questo non è escluso che siano in grado di entrare direttamente nel corpo del paziente sottoposto ad un intervento chirurgico.
Visto che la contaminazione da microplastiche è ormai così comune, come riferito da Timothy O’Toole, professore associato di medicina presso la University of Louisville School of Medicine nel Kentucky, queste infatti potrebbero entrare nel tessuto cardiaco direttamente dall’ambiente. Non è escluso, però, che le microplastiche di ‘grandi’ dimensioni possano anche provenire direttamente da attrezzature e materiali utilizzati in un’operazione al cuore – come tubi e siringhe.
«Il rilevamento di microplastiche nel corpo vivente è allarmante e sono necessari ulteriori studi per indagare su come le microparticelle entrano nei tessuti cardiaci e sui potenziali effetti delle microplastiche sulla prognosi a lungo termine dopo la cardiochirurgia», ha commentato Xiubin Yang, uno degli autori dello studio. Il team ha inoltre avanzato il timore che «le microplastiche siano presenti in vari organi in tutto il corpo».
Infatti, solo lo scorso anno, questi microscopici frammenti in plastica sono stati individuati nel sangue umano. Un gruppo di ricerca dei Paesi Bassi ha dimostrato per la prima volta la presenza di questi minuscoli polimeri industriali in campioni di sangue proveniente da 22 volontari adulti in salute. Nello specifico, il 77% (17 donatori) aveva nel proprio sangue una concentrazione quantificabile di frammenti in plastica di dimensioni superiori ai 700 nm e per le particelle plastiche rinvenute si è osservata una concentrazione media di 1,6 microgrammi su millilitro (µg/ml).
Alcune microplastiche sono finite anche nella placenta umana. Nel 2020 una ricerca condotta dall’Ospedale Fatebenefratelli di Roma e dal Politecnico delle Marche, pubblicata sulla rivista scientifica Environment International, ha individuato nelle placente di sei donne tra i 18 e i 40 anni, tutte in salute e con gravidanze normali, dodici frammenti di materiale artificiale delle dimensioni di un batterio (tra i 5 ed i 10 micron) – tre dei quali di polipropilene, elemento riscontrabile nelle bottiglie di plastica, e nove di materiale sintetico verniciato. Si tratta di frammenti microscopici di cosmetici, smalto per le unghie e creme per il viso, inglobati nell’organismo delle madri tramite alimentazione (si pensi al cibo confezionato) o per inalazione, e poi finiti nella parte di placenta integrante del feto, nella parte attaccata all’utero e nelle membrane in cui è avvolto il feto stesso.
Tutti ritrovamenti dopo i quali risulta più urgente che mai «comprendere meglio il grado di esposizione a queste sostanze nonché il pericolo ad esso associato». Al momento, secondo quanto riportate da una recente analisi che ha esaminato gli studi precedenti sull’impatto delle microplastiche sulle cellule umane, “non è noto se ciò comporti effetti negativi sulla salute e, in caso affermativo, a quali livelli di esposizione”, ma è probabile che l’ingestione di tali particelle possa contribuire al danneggiamento – e in alcuni casi alla morte – delle cellule. Quello del ciclo della plastica è un problema ambientale molto grave e – ormai lo sappiamo – con profili di rischio non trascurabili per la salute, eppure la politica non interviene se non molto timidamente. Un fattore ancor più vero in Italia, dove sia i partiti di governo che il PD si sono schierati contro la proposta di legge europea sul riuso e riciclo degli imballaggi, che mira proprio a ridurre l’impatto della plastica sull’ambiente.
[di Gloria Ferrari]
Grandi come un batterio? E qualcuno pensa di riuscire a risolvere il problema?
Veramente preoccupante