Un nuovo studio condotto presso l’Università di Utrecht ha concluso che negli oceani ci sono molti meno rifiuti di plastica di quanto si temesse in precedenza e che gran parte della plastica nell’oceano è costituita da pezzi di grandi dimensioni che sono più facili da pulire. La ricerca, come dichiarato dall’Università in un comunicato stampa, si basa su calcoli con un modello computerizzato che include un numero record di misurazioni e osservazioni. Il principale autore dello studio ha dichiarato che “sono stati aggiunti i conteggi della pulizia delle spiagge e le osservazioni di grandi oggetti di plastica galleggianti sull’acqua”. Variabili non estranee al nostro Paese, visto che il 72,5% dei rifiuti sulle spiagge è di plastica e il Mediterraneo rimane uno dei mari più inquinati al mondo. Tuttavia, non ci sono solo buone notizie e non si deve sottostimare il problema: la stima di rifiuti galleggianti è aumentata e si è scoperto che i polimeri rimangono nell’oceano molto più a lungo di quanto si pensasse.
Ad oggi, la quantità totale di plastica negli oceani era stimata in oltre 25 milioni di tonnellate, di cui 250.000 di rifiuti galleggianti. Lo studio ha mostrato che la quantità di plastica sulla superficie dell’oceano in realtà è più alta, circa 2 milioni di tonnellate, ma che solo un milione di tonnellate è presente nelle profondità degli oceani. Ciò significa che in totale ci sono meno rifiuti ma che la proporzione di quelli che galleggiano sulla superficie è molto più grande di ciò che si prevedeva. Ridotte anche le stime della quantità di plastica che ogni anno finisce nelle acque: mezzo milione di tonnellate e non 4-12 milioni come si pensava in precedenza. In futuro la cifra potrà cambiare ulteriormente visto che, stando alle stesse parole dell’autore principale dello studio, la ricerca nel settore è ancora agli inizi e «stiamo ancora cercando un ordine di grandezza». Nonostante la maggior parte della plastica negli oceani sia composta da particelle molto piccole, sono “i pezzi grandi e galleggianti” a fare massa. La buona notizia è che, date le loro dimensioni, sono più facili da reperire rispetto alle micro-plastiche. Altro conto invece è impegnarsi per farlo in quantità significativa e ridurre il numero di rifiuti abbandonati in acqua, visto che escludendo le micro-particelle circa la metà proviene da pescherecci. Un’altra importante conclusione è che la plastica rimane nell’oceano molto più a lungo di quanto si pensasse e, secondo Mikael Kaandorp, autore principale dello studio, questa è una cattiva notizia: «Significa che ci vorrà molto più tempo prima che gli effetti delle misure per combattere i rifiuti di plastica siano visibili. Sarà ancora più difficile tornare alla situazione di una volta. Inoltre, se non agiamo ora, gli effetti si faranno sentire ancora per molto».
La comunità scientifica affinerà i suoi metodi e garantirà stime ancora più precise, ma una cosa è possibile farla già da ora: smettere di abbandonare i rifiuti in spiaggia e in mare. Nonostante i sempre più ambiziosi impegni internazionali, il Mediterraneo è ancora uno dei mari più inquinati al mondo e nelle spiagge italiane sono stati registrati ben 961 rifiuti ogni 100 metri lineari di cui il 72,5% è plastica. L’inquinamento dei polimeri è stato anche correlato a cancro e difetti alla nascita da uno studio che ha mostrato come “gli attuali modelli di produzione, uso e smaltimento della plastica non siano sostenibili e siano responsabili di danni significativi alla salute umana, nonché di profonde ingiustizie sociali”.
[di Roberto Demaio]