Diverse decine di persone si sono ritrovate nel bosco di Ronco, nei pressi di Cortina d’Ampezzo, per protestare contro la costruzione della nuova pista da bob in vista delle Olimpiadi invernali di Cortina 2026. Gli attivisti si sono legati agli alberi destinati ad essere abbattuti per fare spazio al nuovo impianto, al grido di «Noi la pista non la vogliamo!». Si tratta di un’opera che difficilmente verrà riutilizzata dopo i giochi olimpici del 2026 e che lo stesso Comitato Olimpico Internazionale aveva consigliato di non costruire dal momento che poteva essere utilizzata quella di Innsbruck, appena oltre il confine austriaco. La giunta regionale veneta sembra tuttavia intenzionata a proseguire nella costruzione dell’impianto la quale, oltre a comportare un danno ambientale ingente, avrà un costo stimato di 120 milioni di euro, interamente prelevati dalle casse pubbliche.
Per completare la costruzione della pista, infatti, sarà necessario abbattere tutti i larici che compongono il bosco, in un territorio già “ampiamente distrutto dai cambiamenti climatici e da eventi devastanti come la tempesta di Vaja” e che avrebbe dunque bisogno unicamente di interventi di salvaguardia. Eppure la scorsa settimana il sindaco di Innsbruck, Georg Willi, ha avanzato ufficialmente la proposta di utilizzo della propria pista da bob per la competizione invernale. L’impianto necessita di interventi di ristrutturazione per 27 milioni di euro e il contributo dell’Italia ammonterebbe all’incirca tra i 12 e i 15 milioni. La proposta sarebbe tuttavia stata rifiutata da Simico (Società infrastrutture Milano Cortina 2026) e Fondazione Olimpica, che ha definito “scorretto” l’intervento dell’amministrazione oltralpe e commentato che “i dati messi a nostra disposizione riguardano solo costi operativi e gestionali di un eventuale utilizzo della pista durante i Giochi, mentre sembrano mancare ulteriori e rilevanti informazioni tecniche, che erano state invece richieste formalmente in diverse comunicazioni risalenti al periodo tra marzo e maggio 2023”.
Secondo alcune indiscrezioni, i lavori sarebbero dunque stati appaltati a una multinazionale italiana, dopo che è stata avviata una procedura negoziata dal momento che il bando d’asta (scaduto il 31 luglio scorso) non aveva ricevuto proposte. Tuttavia, le prospettive sull’utilizzo della pista, al di là delle Olimpiadi invernali del 2026, sono fosche. L’impianto precedente, costruito 67 anni fa, si trova tutt’ora in uno stato di abbandono, essendo rimasto inutilizzato dopo le Olimpiadi di Cortina del 1956 per le quali era stato realizzato. La nuova pista, oltre ad avere un costo estremamente elevato (più che duplicato rispetto ai calcoli iniziali, che stimavano una spesa di 50 milioni, un trend che sembra riguardare tutti gli ambiti delle Olimpiadi “a costo zero”), avrà un fortissimo impatto ambientale, dal momento che richiederà il disboscamento e la cementificazione di parte del territorio. Una prospettiva ben distante da quell’obiettivo di “realizzare un’edizione dei Giochi memorabile, totalmente sostenibile e capace di ispirare le generazioni future” sbandierato all’inizio. Una pennellata di greenwashing che promette di distruggere ulteriormente il fragile e equilibrio del territorio dolomitico.
[di Valeria Casolaro]