Il numero di artigiani nel nostro Paese continua inesorabilmente a diminuire. Dal 2012 al 2022 la quota è scesa di quasi 325mila unità (-17,4%) e l’unico anno in cui si è registrato un (leggero) miglioramento è stato il 2021. Lo riporta un’analisi su dati Inps dell’Ufficio Studi CGIA. Le province che hanno registrato la variazione negativa più elevata sono state Vercelli e Teramo (entrambe -27,2%). A seguire Lucca (-27%), Rovigo (-26,3%) e Massa-Carrara (-25,3%). A livello regionale invece, le flessioni più marcate sono nelle Marche (-21,6%) ed in Piemonte (-21,4%). Secondo gli autori dell’analisi la causa non è solo il numero sempre minore di giovani interessati a lavorare nel settore, ma anche la scelta dei proprietari di chiudere la partita Iva e continuare a lavorare come dipendenti in posti “più sicuri e con meno preoccupazioni”. Ad aumentare invece è il numero di artigiani del benessere e dell’informatica che, anche grazie all’ormai consolidata cultura del consumismo, di certo faticano meno a trovare clienti. «Mancano giovani disposti a fare tutti quei lavori che sono sempre stati determinanti a favorire lo sviluppo economico del Paese» si legge nell’analisi, la quale prevede che «l’artigiano di domani sarà colui che vincerà la sfida della tecnologia per rilanciare anche i “vecchi saperi”».
Per accorgersi di quanto stia cambiando velocemente la società non servono solo le analisi: «Basta osservare con attenzione i quartieri di periferia e i centri storici per accorgersi che sono tantissime le insegne che sono state rimosse e altrettante sono le vetrine non più allestite, perennemente sporche e con le saracinesche abbassate. Sono un segnale inequivocabile del peggioramento della qualità della vita di molte realtà urbane. Queste micro attività conservano l’identità di una comunità e sono uno straordinario presidio in grado di rafforzare la coesione sociale di un territorio» hanno aggiunto gli autori. Tra le cause c’è il forte aumento dell’età media, la concorrenza feroce esercitata dalla grande distribuzione e il boom del costo degli affitti e delle tasse, che ha portato artigiani e imprenditori a chiudere le imprese. Ma c’è una causa di importanza non inferiore rispetto alle altre: la scelta dei consumatori. La maggior parte dei compratori preferisce l’acquisto via web piuttosto che dirigersi fisicamente dal venditore. Nel 2023 gli acquisti online degli italiani cresceranno ulteriormente del 13% e raggiungeranno quota 54 miliardi di euro. Da una parte, il fenomeno è spiegabile grazie all’estrema velocità di spedizione e la considerevole ampiezza di scelta garantita dai negozi virtuali, ma dall’altra, è impossibile non notare come l’influenza della cultura consumistica e dell’usa e getta stia portando all’estinzione dei lavori di riparazione come, per esempio, il calzolaio e l’arrotino.
L’analisi conclude aggiungendo che «l’artigianato è stato “dipinto” come un mondo residuale e destinato al declino. Per riguadagnare il ruolo che gli compete ha bisogno di robusti investimenti nell’orientamento scolastico e nell’alternanza tra la scuola e il lavoro, rimettendo al centro del progetto formativo gli istituti professionali che in passato sono stati determinanti nel favorire lo sviluppo economico del Paese. Si fatica a reperire nel mercato del lavoro giovani disposti a fare gli autisti, gli autoriparatori, i sarti, i pasticceri, i fornai, i parrucchieri, le estetiste, e gli idraulici. L’artigiano di domani sarà colui che vincerà la sfida della tecnologia per rilanciare anche i “vecchi saperi”».
[di Roberto Demaio]
Un’altra importante causa è il totale disinteresse dello Stato, oggi chi avvia una partita IVA e’ considerato un “eroe”, vi pare normale?