mercoledì 2 Aprile 2025

Incendi alle Hawaii: un caso da manuale della shock economy?

È passato quasi un mese da quando, l’8 agosto, gli incendi hanno cominciato a distruggere l’isola di Maui, nell’arcipelago delle Hawaii, contribuendo a scatenare l’inferno nella città di Lahaina. Le immagini della devastazione hanno fatto il giro del mondo. Sul terreno dell’isola, occupata dagli Stati Uniti nel lontano 1893 e poi annessa, rimangono i resti di almeno 3.000 edifici ridotti in cenere, i corpi di 115 vittime già identificate, nonché 850 dispersi, molti dei quali probabilmente non verranno mai trovati perché del tutto polverizzati dalle fiamme. Tra i vivi, invece, rimane la protesta per la catena degli orrori nella gestione dell’evento catastrofico da parte delle autorità (mancato allarme, mancato distacco della corrente, idranti senz’acqua, ed altro ancora), al punto che tra la popolazione in molti credono a teorie alternative sulla pianificazione del disastro. Mentre, come avvoltoi che fiutano il ricco pasto, speculatori e grandi compagnie immobiliari bombardano i superstiti con telefonate dallo schema sempre uguale: «Buongiorno, ci dispiace molto per il disastro che ha subito, sarebbe interessato a venderci quello che rimane della sua casa?»

Secondo la versione delle autorità l’avanzata drammatica dell’incendio è stata causata dal grande caldo unito all’arrivo dell’uragano Dora. Lo ha spiegato dal governatore delle Hawaii Josh Green che, ospite di The Sunday Show with Jonathan Capehart della MSNBC, ha descritto l’incendio come un «uragano di fuoco». Ad incidere anche due altri fattori: le condizioni di grave siccità che erano in corso a Maui, con la scarsità di pioggia che avrebbe reso più attaccabile dalle fiamme la vegetazione, e la grande diffusione di piante erbacee non native delle Hawaii ed estremamente infiammabili sui terreni un tempo occupati dalle piantagioni di canna da zucchero e ananas. Una versione a cui non tutti credono, al punto che tra la popolazione, così come tra i canali dell’informazione alternativa di tutto il mondo, circolano ipotesi assai diverse.

Le teorie alternative

Sono molte, infatti, le zone d’ombra sottolineate da chi non ritiene convincente la versione ufficiale, alimentando il proprio dubbio con le evidenti negligenze delle autorità pubbliche nei soccorsi. Sebbene, anche in questa occasione, non siano mancate le consuete “polpette avvelenate” (immagini vecchie o fasulle, video falsi), volte a intossicare l’attenzione del pubblico con il fumo del sensazionalismo e della disinformazione.

La maggior parte di chi ha messo in dubbio la versione ufficiale ha focalizzato l’attenzione sulla possibile tecnologia usata per appiccare gli incendi (raggi laser di colore blu, armi a energia diretta o Direct Energy Weapons, ecc.), condividendo anche in maniera compulsiva – senza poterli analizzare – video che mostravano strani bagliori nel cielo. Altri hanno fatto notare alcune “stranezze” che già erano circolate in occasione dell’incendio del 2018 a Paradise in California: cerchioni completamente fusi delle automobili, che indicano un calore particolarmente alto, nonché immagini di case rase al suolo ma, fatto all’apparenza inspiegabilmente, con gli alberi intorno intatti. Fattori non così strani secondo chi contesta queste ricostruzioni, sottolineando come alcune tipologie di alberi possano non essere intaccati dalle fiamme grazie all’isolamento termico fornito dalla loro corteccia e dai tessuti umidi. Un altro elemento che non è passato inosservato a Maui sono le barche che bruciano nonostante si trovino in acqua a diversi metri dalla costa, mentre in diverse zone la città è avvolta da uno strano cerchio di fuoco. Una sintesi delle teorie alternative è stata sintetizzata in un video dal titolo “Maui, disastro intenzionale“, da parte del regista, scrittore e blogger, Massimo Mazzucco.

Decisamente più riscontrabili e meritorie di attenzione sono le stranezza oggettive della catena di comando dei soccorsi da parte delle autorità. Una gestione folle dell’emergenza che ha finito per alimentare il disastroso incendio e la morte di centinaia di persone. Lacune giustificate dalle autorità con tesi evidentemente deboli e contestate dalla popolazione locale.

Perché non è stata staccata la corrente elettrica?

Nonostante il vento forte, durante l’incendio, non è stata staccata la corrente elettrica (i pali della luce cadendo sul terreno secco, causano incendi). Interrompere temporaneamente l’elettricità per ridurre il rischio di incendi, ricorda la BBC, è una tattica utilizzata negli Stati occidentali degli USA, dove gli incendi sono comuni (in California, le linee elettriche sono state ritenute responsabili della metà degli incendi più distruttivi dello Stato). A Maui, invece, si è deciso di non staccare la corrente elettrica e, per questo motivo sono partite due cause (di cui una class action) contro le compagnie per aver lasciato le linee dell’alta tensione cariche. 

La contea di Maui ha, infatti, intentato una causa contro la Hawaiian Electric Company (HECO) e le sue filiali, sostenendo che la negligenza della società di servizi ha causato i devastanti incendi che hanno bruciato migliaia di acri di terreno. La causa ritiene che la compagnia elettrica «ha ingiustificatamente mantenuto le linee elettriche sotto tensione» all’inizio di agosto, nonostante il fatto che il Servizio Meteorologico Nazionale avesse emesso un avviso di vento forte e un avviso di incendio e che la società di servizi sapeva che i forti venti «avrebbero fatto cadere i pali della luce, abbattuto le linee elettriche e incendiato la vegetazione». 

HECO è anche oggetto di una proposta di azione legale collettiva depositata, che accusa la compagnia elettrica di aver scelto di non «togliere tensione alle proprie linee elettriche dopo aver saputo che alcuni pali e linee erano caduti ed erano in contatto con la vegetazione o il terreno».

Perché non è stato dato l’allarme?

Fin dal mattino, già diverse ore prima che iniziassero gli incendi, il vento era così forte che esistevano le premesse per lanciare l’allerta rossa, al punto che le scuole avevano sospeso le lezioni e mandato a casa i bambini. Nonostante questo, nessuno ha lanciato l’allarme, così i bambini sono rimasti a casa con i nonni e sono stati, con essi, le vittime principali del disastro.

Come se non bastasse, come evidenziano CBS News e NBC News, le sirene del sistema di allarme non sono state azionate. Come riferisce Euronews, il sistema d’allarme precoce dell’isola è tra i migliori del mondo (creato già nel 1946). Eppure, secondo Expose, «Le sirene di emergenza non sono state attivate e la perdita di vite umane avrebbe potuto essere contenuta da una migliore gestione dell’emergenza che è completamente fallita». Come riporta Euronews, il sistema d’allarme precoce dell’isola di Maui è considerato tra i migliori del mondo (creato già nel 1946).

Perché gli idranti erano senza acqua?

Come se non bastasse quanto appena elencato, qua arriviamo a uno dei punti più assurdi dell’intera vicenda. In pieno incendio, i vigili del fuoco si sono ritrovati gli idranti senz’acqua. Il New York Times ha riferito che i pompieri, inviati per domare le fiamme, una volta arrivati sul luogo, hanno scoperto che alcuni idranti erano asciutti: «Non c’era proprio acqua negli idranti», ha raccontato il pompiere Keahi Ho. «[Quanto è successo] va contro tutti i protocolli di controllo del fuoco», leggiamo ancora su Expose News.

Non a caso, Herman Andaya, a capo dell’Agenzia per la gestione delle emergenze, travolto dalle polemiche – dopo aveva dichiarato di non essere pentito di non aver suonato le sirene di allarme ed essersi giustificato in maniera ridicola – si è dimesso, motivando il gesto con problemi di salute. Le dimissioni sono state accettate dal sindaco. 

Maui nel mirino degli speculatori

Se, come abbiamo visto, tutto sembrava aver voluto condurre alla catastrofe e impedire i soccorsi, per parlare di disastro intenzionale o di volontari ritardi nei soccorsi, ci vuole, però, anche un movente. 

Cui prodest? A chi giova l’incendio che ha distrutto l’isola? 

Maui è soggetta, da tempo, alla prepotenza di speculatori che intendono espropriare i residenti delle loro case e delle loro terre, per impiantare moderne strutture da destinare al business del turismo internazionale. Nonostante le richieste divenute negli anni sempre più insistenti, gli abitanti dell’isola non si sono lasciati convincere e non hanno ceduto alla lusinga delle cifre importanti.

Obiettivo gentrificazione?

Maui è una delle «più spaventose opportunità di gentrificazione», a causa «del valore molto alto dei terreni, dell’intenso livello di trauma subito dai residenti e delle persone senza scrupoli che cercheranno di trarne vantaggio». Parola di Jennifer Gray Thompson, amministratrice di After the Fire USA, un’organizzazione che si occupa di recupero e resilienza sociale in caso di incendi negli Stati Uniti. Thompson, che ha lavorato per la contea di Sonoma durante l’incendio di Tubbs nell’ottobre 2017, pochi giorni dopo l’incendio di Maui, ha previsto che i potenziali investitori avrebbero effettuato ricerche su chi aveva mutui ancora da pagare e ha avvertito che i residenti dell’isola avrebbero ricevuto chiamate dagli speculatori che li avrebbero spinti a vendere a un prezzo stracciato.

Quando le telefonate hanno iniziato effettivamente a fioccare, e i cittadini si sono lamentati per lo sciacallaggio, è intervenuto il governatore delle Hawaii. Green ha annunciato che il procuratore generale dello Stato avrebbe elaborato una moratoria sulla vendita delle proprietà danneggiate, per proteggere i proprietari terrieri locali dall’opportunismo feroce.

Gli sciacalli all’opera

L’ipotesi che si è fatta largo, all’indomani dell’incendio, è che la resistenza della popolazione locale ad accettare l’offerta di denaro in passato, abbia condotto coloro che volevano accaparrarsi le risorse dell’isola, a impossessarsi di case e terre in maniera diversa, predatoria: sfruttando i danni del fuoco. Questa pista è avvalorata dallo sciacallaggio che, all’indomani della tragedia, si è abbattuto sull’isola. Mentre ancora si contavano i morti e i dispersi, si sono fatti avanti i saccheggiatori e gli speculatori, convinti che si fosse piegata, con il fuoco, la volontà dei residenti a vendere le loro proprietà.

A confermare questa ricostruzione sono stati non solo gli abitanti di Maui, ma gli stessi media mainstream. NBC News, per esempio, ci informa che, «I residenti dell’isola hanno […] ricevuto chiamate da investitori immobiliari che cercavano di acquistare la loro proprietà». E c’è chi, invece, dopo essere riuscito a salvare la propria abitazione, ha ricevuto un avviso di sfratto. Alla faccia della protezione garantita da Green.

Insomma, al culmine della devastazione, mentre gli sfollati, impegnati a recuperare i pochi oggetti non bruciati, cercavano notizie sui loro cari scomparsi, gli speculatori ne approfittavano, tentando di volgere a proprio favore la tragedia. Trasformando una crisi in “opportunità”.

Il capitalismo dei disastri

Opportunità: è proprio la parola chiave del cosiddetto capitalismo dei disastri, che sfrutta momenti di crisi (naturali o indotte che siano) per imporre le proprie ricette economiche, introdurre misure liberticide e per far approvare rapidamente leggi impopolari a vantaggio di una piccola élite.

Come ha osservato Naomi Klein, già autrice di Shock Economy, su The Guardian, «Il capitalismo dei disastri ha assunto molte forme in contesti diversi. A New Orleans, dopo l’uragano Katrina del 2005, c’è stata un’iniziativa immediata per sostituire le scuole pubbliche con scuole charter e per demolire i progetti di edilizia residenziale pubblica per far posto alla gentrificazione delle case a schiera. A Porto Rico, dopo l’uragano Maria del 2017, le scuole pubbliche sono state nuovamente sotto assedio e si è spinto a privatizzare la rete elettrica prima che la tempesta si abbattesse. In Thailandia e Sri Lanka, dopo lo tsunami del 2004, preziosi terreni fronte mare, precedentemente gestiti da piccoli pescatori e agricoltori, sono stati sequestrati da imprenditori immobiliari mentre i loro legittimi occupanti erano bloccati nei campi di evacuazione». 

Questa modalità, secondo Klein, sarebbe in atto da tempo anche alle Hawaii, al punto che si dovrebbe usare l’espressione “capitalismo dei disastri delle piantagioni”, che allude alle «forme contemporanee di neocolonialismo e di speculazione climatica, come gli agenti immobiliari che hanno chiamato a freddo i residenti di Lahaina che hanno perso tutto nell’incendio, spingendoli a vendere le loro terre ancestrali invece di aspettare un risarcimento». 

Nulla di nuovo per gli hawaiani, la cui storia si intreccia con il furto delle proprie terre e con gli inganni parte dei coloni. Il capitalismo dei disastri è una tattica molto antica che si ripresenta oggi in forme camuffate: «Una tattica alla quale i nativi hawaiani hanno molta esperienza nel resistere».

Progetto: Smart City

E se la consueta modalità del capitalismo dei disastri questa volta si coniugasse ai piani di quella élite tecnocratica che, passando per Davos, intende non solo avviare un processo di gentrificazione, ma anche dare vita alle cosiddette “Città dei 15 minuti”? Secondo Mazzucco, Maui non fa solo gola ai grandi fondi di investimento con terreno residenziale, ma nasconderebbe un altro obiettivo, essendo stata designata come una delle città sperimentali del futuro, le cosiddette Smart Cities. Lahaina sarebbe stata intenzionalmente rasa al suolo per spianare la strada al progetto JumpSmartMaui (contrazione di Japan-US Island Grid Project), avviato nel 2013 insieme a Hitachi, in collaborazione con New Energy and Industrial Technology Development Organization (NEDO), Mizuho Bank, Ltd. e Cyber Defense Institute, e altri partner (con tanto di video promozionale). 

Hitachi sta gestendo questo progetto per costruire un sistema di reti intelligenti e vanta tre obiettivi: rispondere alla crescita dell’utilizzo di veicoli elettrici; stabilizzare la fornitura di energia elettrica; massimizzare l’uso di energie rinnovabili. A convergere con le finalità della società giapponese è l’obiettivo dello Stato delle Hawaii di ottenere il 40% della propria produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili entro il 2030

Il coinvolgimento del World Economic Forum

Tale proposito è stato esposto proprio dal Governatore delle Hawaii alle Nazioni Unite lo scorso luglio. Green ha dimostrato di essere ansioso di portare avanti, con l’agenda del World Economic Forum, il “modello Hawaii” in tema di sostenibilità: «Cerchiamo di essere leader in materia di energia e clima. Siamo stati il ​​primo stato a imporre il 100% di energia rinnovabile per l’elettricità», ha dichiarato alla platea di New York.

L’intento è diventare il primo Stato a funzionare interamente con energia pulita, come confermato nel 2018 proprio dal WEF in un articolo: «Per ridurre le emissioni di gas serra dello Stato il governo hawaiano ha lanciato nel 2008 l’iniziativa per l’energia pulita, che si impegna a stabilire nuove credenziali verdi e mira a utilizzare il 100% di elettricità rinnovabile per alimentare l’intero stato entro il 2045. Dopo aver introdotto obiettivi ambiziosi in materia di energie rinnovabili per la produzione di energia, le Hawaii stanno ora cercando di ripulire i trasporti terrestri, una delle principali fonti di consumo di combustibili fossili». 

Proprio Green, sommerso dalle polemiche, è intervenuto per smentire le ipotesi che vorrebbero il progetto di Smart City all’origine degli incendi: «Non c’è alcuna verità nell’orrenda affermazione secondo cui gli incendi sono stati deliberatamente appiccati per radere al suolo la storica città di Lahaina, che fu il primo Campidoglio del Regno hawaiano», si è difeso. Secondo l’Ufficio statale per l’energia delle Hawaii, questi progetti hanno la capacità di alimentare 314.600 case hawaiane per i prossimi 20 anni. 

La conferenza di gennaio

Molti utenti, sui social, si sono focalizzati anche sulla Hawaii International Conference on System Sciences, che si è tenuta lo scorso gennaio. I partecipanti hanno negato che l’evento avesse qualcosa a che fare con un piano intenzionale per radere al suolo un’intera città; Tung Bui, professore di informatica all’Università delle Hawaii a Manoa, che ha presieduto la conferenza, ha spiegato che le Smart Cities erano solo uno dei tanti punti di discussione del convegno. 

Sarebbe ingenuo pensare che per radere al suolo un’isola, decine di personaggi di alto profilo si riuniscano in un luogo pubblico davanti a centinaia di persone per architettare i propri loschi piani, che proseguono alla luce del giorno da almeno dieci anni. Ma è altrettanto miope non ragionare oltre alla verità superficiale sulla “serie sfortunata di eventi” all’origine del disastro. 

L’intento di rendere Maui un modello di città del futuro è chiaro da tempo e si è lasciato che un’isola, con i suoi abitanti, sprofondasse nella cenere, per strumentalizzare una crisi e volgere in opportunità una tragedia, in modo da ottenere dei guadagni e realizzare un progetto che fino a quel momento era rimasto soltanto su carta. Un progetto che ora, espropriate le terre e le case dei cittadini di Lahaina, potrà vedere la luce. Sul sangue e la disperazione di una popolazione che, in passato, è stata ripetutamente ingannata e ora abbandonata alla desolazione. 

[di Enrica Perucchietti]

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5 Commenti

  1. In tutto questo c’è il mistero dei tetti blu…
    Da notizie che non ho i mezzi per verificare sembra che le ville di tutti i nomi noti Obama Ofra (il personaggio televisivo) attori e vip vari abbiano colorato i tetti di blu…

    gira anche un video che fa vedere come una scarica elettrica continua passando su materiali di doversi colori li bruci meno che sul blu….

    In alcune immagini del disastro si vede come quattro ombrelloni blu forse di un deors di un locale siano intatti in mezzo a tutta la devastazione….

    Bhe si si fa una somma di tutto questo viene proprio da pensare male….

    Sarebbe interessante verificare l’attendibilità di questo motizie i tetti, il blu che non brucia ecc…

    perché se fossero confermate serebbero la “pistola fumante” che prova il dolo…

    E visto i progetti di Davos, sarebbe il segnale che stanno passando ad un altro livello di reazione alla opposizione dei loro progetti…

    per adesso in una landa lontana di “selvaggi sacrificabili” (dal loro punto di vista) ma in futuro poi anche in Europa direi sarebbero bene approfittarne

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