Non è soltanto uno stereotipo: il valore delle ricchezze controllate dalla Chiesa cattolica continua ad essere, anche di questi tempi, estremamente rilevante. Ad attestarlo è l’ultimo bilancio dell’Apsa, il dicastero vaticano che gestisce il complesso dei beni della Santa Sede. Che, nel 2022, sul versante del patrimonio immobiliare, ha chiuso con una rendita di 52,2 milioni (+31,4 milioni), vedendo invece una perdita di 6,7 milioni su quello del patrimonio mobiliare. In Italia, il Vaticano ha gestito lo scorso anno ben 4.072 unità immobiliari, versando direttamente o indirettamente nelle casse pubbliche appena 6,05 milioni di Imu e 2,91 milioni di Ires: imposte dalle quali continuano a rimanere esentati non solo i luoghi di culto (chiese, abbazie, ecc.), ma anche tutti quegli immobili che ruotano attorno alle attività religiose e ritenuti “no profit”.
Non è un mistero che, nel patrimonio della Santa Sede – che, al netto delle passività, ammonta in tutto a 2,8 miliardi -, si contino sontuosi palazzi nel centro della Capitale, nonché terreni e palazzi nell’area delle zone residenziali. Dal computo, vanno tolti gli immobili strumentali inalienabili come le basiliche e le sedi dei dicasteri, che non sono valutabili. Tra le oltre 4mila unità immobiliari gestite dal dicastero in territorio italiano (per circa un milione e mezzo di metri quadrati), 2.734 sono sue, mentre 1.338 appartengono ad altri enti. Complessivamente, 1.389 unità risultano ad uso residenziale, 375 ad uso commerciale, 253 sono a redditività ridotta e 717 sono pertinenze. All’estero, il Vaticano gestisce invece più di 1.100 unità immobiliari. Dai dati emerge che soltanto il 19% di questo patrimonio complessivo è locato a condizioni di libero mercato: il 12% lo è a canone agevolato, il 69% a canone nullo.
Passando alla voce di bilancio riferita al patrimonio mobiliare, si registra invece una flessione, seppur di minore entità. Gli investimenti finanziari gestiti dall’Apsa ammontano, al 31 dicembre 2022, a circa 1,777 milioni di euro e sono comprensivi sia della gestione della proprietà che della gestione di terzi (enti della Santa Sede o ad essa collegati). Se alla fine del 2021 essi avevano portato a un risultato positivo (+19,85), al termine dello scorso anno si è assistito a un disavanzo di 6,7 milioni di euro, con una differenza di -26,55 milioni rispetto al 2021. A crescere sono stati anche i costi di gestione, da 10 a 13 milioni di euro. Lo scorso anno, Apsa ha poi contribuito con 32,27 milioni di euro alla copertura del fabbisogno della Curia, in leggero calo rispetto al 2021 (38,1 milioni).
L’arcivescovo presidente dell’Apsa, Nunzio Galantino, nella lettera che accompagna il bilancio parla di numeri che raccontano di «un’amministrazione che, come tutti, ha dovuto e continua a fare i conti con gli effetti della crisi pandemica e dall’incertezza derivante dai conflitti in atto», le cui «conseguenze negative finanziarie ed economiche» hanno fisiologicamente influenzato l’esercizio 2022. Inoltre, come già «si intuiva dai primi mesi, si sono verificati fenomeni di spinta inflattiva e di notevole rialzo dei costi per l’energia che hanno avuto ripercussioni negative sui risultati gestionali delle varie aree di attività dell’Apsa». In merito agli ottimi risultati legati alla gestione del patrimonio immobiliare vengono spese meno parole, ma l’arcivescovo tiene a sottolineare come l’Ufficio investimenti dell’Apsa operi non per perseguire finalità speculative, bensì a «contenuto tasso e a comprovato impatto sociale», in vista della conservazione e del consolidamento del patrimonio. Che in realtà, come nitidamente fotografato dai dati, continua a crescere e non di poco.
[di Stefano Baudino]