Dopo un periodo in cui la situazione in Siria sembrava andare verso la stabilizzazione con il graduale riaccreditamento del governo di Bashar al-Assad presso i governi del Medioriente, sono tornati a riaccendersi focolai di scontri e di tensioni in diverse parti del Paese, insieme ad alcune proteste antigovernative che hanno avuto luogo specialmente nel sud. A ridestare gli scontri nel martoriato stato mediorientale, coinvolto in una guerra internazionale per procura in seguito alla guerra civile del 2011 all’interno del contesto delle primavere arabe, sono, da un lato, le mire della Turchia sulle parti settentrionali del Paese controllate in buona parte dai combattenti curdi delle SDF (Forze democratiche siriane) e, dall’altra, gli scontri a est dell’Eufrate tra i curdi e le tribù arabe. Non mancano poi proteste antigovernative, soprattutto nel sud del Paese, nella provincia di As Suweyda, da parte dei drusi, una minoranza da sempre neutrale nel conflitto.
Per quanto riguarda la situazione al nord, si assiste ad uno scontro tra i miliziani filoturchi e le forze dell’SDF: da sempre Ankara – che nel conflitto siriano si è schierata con le milizie ribelli (Esercito siriano libero, composto in gran parte da jihadisti ed estremisti islamici) – è contraria alla presenza di una macroregione a maggioranza curda lungo i propri confini meridionali, così come alla creazione di uno Stato indipendente rivendicato dai curdi che comprenderebbe parti di Siria, Iran, Iraq e Turchia. Per questo motivo considera le SDF e il PKK (il Partito dei lavoratori del Kurdistan, maggioritario tra i curdi di Turchia e Siria) organizzazioni terroristiche e vorrebbe costruire una zona di sicurezza profonda 30 chilometri lungo il confine, un’idea che ha trovato la contrarietà di Russia e Iran all’ultimo vertice di Astana. Sul finire di agosto si sono registrati scontri tra forze siriane filo turche e curdi, specialmente nell’area di Manbij, nel nord-est del governatorato di Aleppo, a nord della Siria: sebbene il presidente turco Erdogan abbia minacciato un intervento armato nella zona e lanciato già nel 2022 un’offensiva militare contro Siria e Iraq ribattezzata “Spada ad artiglio”, in questo caso non si tratterebbe di un’operazione di Ankara anche se non è da escludere l’appoggio del governo turco. L’area, occupata dai curdi nel 2016 dopo averla liberata dall’Isis, è anche a maggioranza araba: il che ha portato spesso ad attriti tra curdi e arabi. Anche in questo caso, molti gruppi arabi residenti a Manbij hanno ingaggiato scontri con le SDF favorendo così i tentativi dei filoturchi di entrare nelle zone sotto influenza curda. I tentativi di incursione sembrerebbero però essere stati in buona parte respinti.
Resta comunque il tentativo di Erdogan di sbarazzarsi della presenza curda lungo i confini con la Turchia attraverso una presenza militare nel nord del Paese. Non a caso, il presidente turco ha recentemente affermato che non ci sarebbero ostacoli alla “riconciliazione” con Assad se quest’ultimo permettesse ad Ankara di mantenere i propri contingenti nella parte settentrionale dello Stato. Una riconciliazione che vedrebbe ancora una volta sacrificati i curdi, da sempre utilizzati dall’occidente e non solo per raggiungere i propri fini e poi abbandonati a se stessi. L’aria di Siria sotto il controllo curdo è chiamata Rojava, ed è al centro di un esperimento politico degno di nota, con un sistema socialista, laico e di partecipazione popolare denominato “Confederalismo democratico” (un’esperienza della quale abbiamo parlato più dettagliatamente in un approfondimento). Proprio oggi le forze siriane filo-turche nel nord della Siria hanno ripreso gli attacchi militari contro postazioni curde e governative nei distretti di al Bab, Manbij e Tell Tamer. Lo riferiscono media siriani secondo cui gli attacchi sono portati con l’artiglieria del cosiddetto “Esercito nazionale”, una coalizione di gruppi armati siriani cooptati da Ankara nel nord del Paese a ridosso del confine con la Turchia.
Allo stesso tempo, violenti scontri si registrano anche a est dell’Eufrate, in particolare nella provincia di Deir ez-Zor, dove sono scoppiati combattimenti con le tribù arabe nelle aree controllate dai curdi dopo l’arresto per mano delle Forze Democratiche Siriane di Ahmad al-Khabil, capo del locale Consiglio militare locale accusato di appropriazione indebita, traffico di droga e collusione con il governo di Assad. Il territorio orientale è dominato dall’SDF e qui sono ancora presenti contingenti americani: non a caso, alti funzionari statunitensi hanno recentemente visitato l’area, ricca di petrolio, con l’intento di disinnescare la rivolta dei gruppi arabi contro il dominio curdo. La reazione delle tribù, infatti, ha provocato oltre 150 morti e decine di feriti. Le forze curde si sono affermate nella zona tra il 2017 e il 2019 dopo anni di lotta contro il califfato islamico: si è però riproposto il problema delle maggioranze arabe che riguarda anche la regione settentrionlae. Pare peraltro esserci stato un coordinamento tra i gruppi arabi nell’area di Manbij e quelli di Deir Ezzor.
Allo stesso tempo, non sono da sottovalutare i migliaia di manifestanti che nel sud della Siria hanno dato vita a proteste contro il governo di Assad. Le proteste si sono concentrate soprattutto nella provincia di As Suweyda, a maggioranza drusa, nella Siria sud-occidentale. Le rimostranze sono state innescate in parte dal difficile contesto economico internazionale che ha portato ad un’impennata dell’inflazione che si aggiunge alla già pesante crisi economica del Paese causata da un sistema decennale di sanzioni da parte occidentale e dalla guerra; dall’altra, da alcune decisioni politiche del governo come i tagli ai sussidi per carburante e benzina e l’aumento dei salari nel settore pubblico. Le manifestazioni hanno interessato tutto il sud della Siria con i drusi che hanno richiesto a gran voce la rimozione di Assad.
Non è, dunque, ancora terminata la crisi siriana: dopo la risoluzione del contesto internazionale – con le forze occidentali sostanzialmente cacciate dal Paese grazie all’intervento di Russia, Iran e Cina – restano, importanti questioni irrisolte, tra cui i pericolosi scontri tra fazioni ed etnie, la questione curda e l’insoddisfazione di una parte della popolazione verso il pluridecennale governo della famiglia Assad. Le tensioni geopolitiche, le mire turche, la depressione economica – causate dalle sanzioni deleterie di USA e Ue – l’impossibilità di ricostruire le città martoriate dalla guerra e le recenti proteste potrebbero destabilizzare ulteriormente il fragile governo e la straziata società siriana.
[di Giorgia Audiello]